TRADOTTO O TRADITO?

A cura di Ivo De Palma

Tradotto o tradito?

La professione del traduttore è un’attività ad alto tasso di gratificazione (la cultura della maggior parte degli esseri umani è veicolata dai traduttori) nonché ad alto tasso di frustrazione (non si può mai dire “la stessa cosa”, ma tutt’al più “quasi la stessa cosa”, o addirittura, paradossalmente, per esser più fedeli è meglio dire “un’altra cosa”). 

Per non parlare della frequentissima beffa di riuscire a escogitare la miglior traduzione di un dato passaggio solo dopo aver già consegnato il lavoro… E poi, si fa presto a dire “Fai una pausa, svàgati un po’!” Chi traduce non è mai in pausa. Se lo vedi sorseggiare un caffè alla finestra, con lo sguardo perso nel vuoto lattiginoso d’una nebbiosa mattina, o negli sgargianti colori (cui sembra del tutto indifferente) d’un pomeriggio di piena estate, puoi scommettere somme anche generose che in quel preciso istante è in bilico tra i possibili sinonimi d’un sostantivo, le diverse sfumature d’un aggettivo, i verbi etimologicamente più calzanti a rendere un concetto. 

O come dichiarò Oscar Wilde d’aver fatto traducendo dal francese all’inglese, potrebbe essere sul punto di cassare una virgola che aveva impiegato tutta la precedente mattinata a decidere di introdurre. Il traduttore è la versione vivente della radice “kri-”: quella di crinale, crisi, discrimine, scriminatura. Quella della condizione d’essere “a cavallo tra…” due possibilità tra cui, talvolta dolorosamente (la scelta sartriana è pare del gioco), dover scegliere. E’ anche un condizione privilegiata, alle volte. Gli schiavi greci che facevano da interpreti tra grecità e romanità antiche erano certamente dei privilegiati. Sia perché il servizio era molto richiesto da clientele abbienti, sia perché, come detto, chi traduce è a cavallo tra due culture, di cui conosce i limiti ma anche i pregi.

Al traduttore, o alla traduttrice, si (ri)chiede d’essere un erudito, ma anche un creativo. Di procedere secondo un ordine razionale, ma d’essere anche fantasioso, un po’ artista. Spessissimo gli, o le, viene (ri)chiesto d’assumere il ruolo che è già in effetti, della sua controparte: cioè l’autore. Ebbene sì, talvolta chi traduce diviene autore, o autrice, in prima persona. Perché deve cambiare un riferimento culturale a vantaggio del pubblico d’arrivo, perché deve trovare l’equivalente d’un modo di dire, perché deve cambiare un gioco di parole che in traduzione letterale non funzionerebbe, perché sa bene che se i concetti di “traduzione” e di “traduzione letterale” coesistono, non possiamo sempre aspettarci che la prima coincida con la seconda. La seconda, cioè quella letterale, è più limitata. Può condurre a un costrutto di scarsa efficacia, o comunque a un esito lontano dal linguaggio corrente: cioè in pratica a una frase che è formalmente espressa in italiano, eppure non è… in italiano!

In questo nostro breve excursus, che non ha ovviamente alcuna pretesa di esaurire un argomento di proporzioni smisurate, o di mettere la parola “fine” a un dibattito che appassiona tutti da secoli,  saremo accompagnati da alcuni, spero interessanti, contributi. 

Alcuni estratti dalle Lezioni Americane di Italo Calvino, sul valore della parola e sul rispetto che le si deve e dal quale non si può prescindere quando si parla di traduzione. Alcuni dialoghi nel formato socratico “maestro-discepolo” sui principali concetti connessi all’idea di traduzione. 

Le Lezioni  Americane di Calvino, uscite postume in inglese poiché argomento di alcune conferenze che l’autore avrebbe dovuto tenere negli Stati Uniti e che poi non tenne causa morte sopravvenuta dopo un ictus, avevano sicuramente già una redazione italiana a cura dello stesso autore, tranne che per il titolo: Six Memos for the Next Millennium, la cui resa in italiano Calvino non ebbe il tempo di decidere. Il titolo “Lezioni Americane – Sei proposte per il prossimo millennio” venne stabilito dalla vedova, che lo riprese dallo scrittore e amico di famiglia Pietro Citati. 

In quell’ultima estate di Calvino, Citati andava a trovarlo spesso, salutandolo con la frase “Come vanno le Lezioni Americane?” Come si vede, il problema non venne risolto con la traduzione letterale (che fu usata come sottotitolo), ma con un’espressione che solleticasse maggiormente la curiosità dei lettori. Calvino in quest’opera sonda il valore della lingua, della scrittura, della letteratura. 

Specie alla luce delle sfide tecnologiche che alla fine degli anni ‘80 già cominciavano a delinearsi all’orizzonte.

Alle volte mi sembra che un’epidemia abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze

Il dibattito sulla traduzione è secolare. Proviamo a immaginare un dialogo tra un maestro e il giovanissimo discepolo, un po’ in stile socratico.

Maestro: Benvenuto, giovane discepolo. Oggi discuteremo della traduzione. Sai cos’è?

Discepolo: Sì, maestro. È l’atto di trasferire il significato di un testo da una lingua all’altra.

Maestro: Corretto. Ma è solo una definizione superficiale. La traduzione è anche un ponte tra culture, un modo per condividere storie e conoscenze. Perché pensi che la traduzione sia importante?

Discepolo: Permette alle persone di accedere a opere che altrimenti sarebbero incomprensibili a causa della barriera linguistica.

Maestro: Esatto. E cosa sai della storia della traduzione?

Discepolo: So che è un’attività antica quanto la scrittura stessa. Ma non conosco i dettagli.

Maestro: Sin dall’antichità, i traduttori hanno svolto un ruolo cruciale nella diffusione del sapere. Ma con il passare dei secoli, le tecniche e le teorie della traduzione si sono evolute. Sai perché?

Discepolo: “Immagino che sia dovuto ai cambiamenti nelle società e nelle lingue.”

Maestro: Precisamente. E come pensi che la traduzione influenzi la letteratura?

Discepolo: Credo che possa arricchirla, portando nuove prospettive e stili.

Maestro: Vero. La traduzione può trasformare un’opera, dandole nuova vita in un’altra lingua. Ma è anche un’arte delicata. Un traduttore deve essere fedele all’originale, eppure rendere il testo accessibile e piacevole per un nuovo pubblico…

Discepolo: E’ un equilibrio molto difficile!

Come abbiamo detto, le prestazioni degli attori sono a loro volta una forma di traduzione. Cioè rendono una sequenza di frasi semplicemente scritte con una potenza emotiva che dal solo scritto non sempre traspare esplicitamente. 

Le Lezioni Americane di Calvino contengono anche riflessioni antropologiche, connesse in qualche modo alla parola e alla letteratura.

Alla precarietà dell’esistenza della tribù, – siccità, malattie, influssi maligni – lo sciamano rispondeva annullando il peso del suo corpo, trasportandosi in volo in un altro mondo, in un altro livello di percezione, dove poteva trovare le forze per modificare la realtà. In secoli e civiltà più vicini a noi, nei villaggi dove la donna sopportava il peso più grave di una vita di costrizioni, le streghe volavano di notte sui manici delle scope e anche su veicoli più leggeri come spighe o fili di paglia. Prima di essere codificate dagli inquisitori queste visioni hanno fatto parte dell’immaginario popolare, o diciamo pure del vissuto.

Credo che sia una costante antropologica questo nesso tra la levitazione desiderata e privazione sofferta. E’ questo dispositivo antropologico che la letteratura perpetua

E siamo nuovamente in compagnia del giovane discepolo, alle prese con un quesito annoso_

Maestro: Dimmi, cosa pensi che sia più importante: la fedeltà al testo originale o l’adattamento al pubblico di destinazione?

Discepolo: Penso che la fedeltà al testo originale sia fondamentale, maestro.

Maestro: Interessante. E se la fedeltà al testo originale rendesse il testo di destinazione incomprensibile o meno piacevole per il nuovo pubblico, sarebbe ancora la scelta giusta?

Discepolo: Forse no, maestro. In quel caso, l’adattamento potrebbe essere necessario.

Maestro: Vedi, la traduzione è un atto di equilibrio. Ogni lingua ha le sue sfumature, i suoi giochi di parole, le sue metafore. Come fa un traduttore a trasferire questi elementi in un’altra lingua?

Discepolo: Deve essere creativo, immagino, e trovare corrispondenze equivalenti.

Maestro: Esatto. La creatività è essenziale. Bisogna capire che più che tradurre, spesso dobbiamo trasporre.

Che rapporto c’è tra testo scritto e fantasia? Ecco l’opinione di Calvino, dalle sue Lezioni Americane:

Anche leggendo il più tecnico libro scientifico o il più astratto libro di filosofia si può incontrare una frase che inaspettatamente fa da stimolo alla fantasia figurale.

Siamo dunque in uno di quei casi in cui l’immagine è determinata da un testo scritto preesistente (una pagina o una singola frase in cui io mi imbatto leggendo) e ne può scaturire uno sviluppo fantastico tanto nello spirito del testo di partenza quanto in una direzione completamente autonoma”.

Ma la traduzione può essere considerata non solo una trasposizione, ma anche una vera e propria “interpretazione”? Il maestro pone l’interessante quesito all’allievo…

Maestro: Il traduttore non è forse simile a un artista che dipinge una nuova versione di un quadro famoso?

Discepolo: Che bello. Non avevo mai pensato alla traduzione in questo modo.

Maestro: Come può un traduttore assicurarsi di interpretare correttamente l’intento dell’autore originale?

Discepolo: Deve studiare non solo le parole, ma anche il contesto in cui sono state scritte, forse?

Maestro: Precisamente. Il contesto, la cultura, la storia, persino la psicologia dell’autore. Tutti questi elementi influenzano il significato di un testo.

Discepolo: Ma se un testo, per esempio, viene tradotto più volte, attraverso diverse lingue e culture? Potrebbe arricchirsi di nuovi significati, ma anche allontanarsi dall’originale.

Maestro: Proprio così. M questo processo di continua evoluzione e reinterpretazione non è forse simile alla vita stessa, che cambia e si adatta attraverso le esperienze e le interazioni?

Discepolo: È una prospettiva affascinante, maestro. La traduzione, quindi, è come un viaggio attraverso il tempo e lo spazio.

Maestro: Esattamente. E come ogni viaggio, ci sono scoperte da fare, sfide da superare e, a volte, tesori nascosti da trovare. Ricorda, discepolo, che la traduzione non è solo un mestiere, ma un’arte e una scienza. È un atto di amore verso le parole e il loro potere di connettere l’umanità, anche attraverso i secoli.

Discepolo: Una vera e propria macchina del tempo!

Che cos’è e cosa fa la parola? Sentiamo ancora Calvino:

La parola collega la traccia visibile alla cosa invisibile, alla cosa assente, alla cosa desiderata o temuta, come un fragile ponte di fortuna gettato sul vuoto. Per questo il giusto uso del linguaggio per me è quello che permette di avvicinarsi alle cose (presenti o assenti) con discrezione e attenzione e cautela, col rispetto di ciò che le cose (presenti o assenti) comunicano senza parole.

C’è chi crede che la parola sia il mezzo per raggiungere la sostanza del mondo, la sostanza ultima, unica, assoluta; più che rappresentare questa sostanza la parola s’identifica con essa (quindi è sbagliato dire che è un mezzo): c’è la parola che conosce solo se stessa, e nessun’altra conoscenza al mondo è possibile. C’è invece chi intende l’uso della parola come un incessante inseguire le cose, un’approssimazione non alla loro sostanza ma all’infinita loro varietà, uno sfiorare la loro multiforme inesauribile superficie”.

Maestro: La metafora della “Macchina del tempo” ti affascina, a quanto vedo.

Discepolo: Sì, maestro, mi emoziona moltissimo!

Maestro: E se ti dicessi che la traduzione è una macchina del tempo e dello spazio?

Discepolo: Sgranerei gli occhi dalla sorpresa, come già sto facendo!

Maestro: Sappiamo che una lingua non è mai monolitica, fissa e immutabile.

Discepolo: No, infatti. Abbiamo visto che col tempo può mutare

Maestro: Col tempo e, per le lingue post-coloniali, che si sono affermate e imposte al di fuori del loro luogo d’origine, anche col spazio.

Discepolo: Cioè?

Maestro: Prendiamo l’inglese. Un conto è quello d’Inghilterra, un altro quello di Giamaica, un altro quello (o quelli) degli Stati Uniti. A seconda del tipo di anglosassone o angloamericano che dobbiamo tradurre, le varie rese potrebbero essere diverse.

Discepolo: Questo rende la traduzione più consapevole delle differenze culturali…

Maestro: Esatto. Discorso simile per la traduzione delle lingue delle minoranze, che serve a dar voce a chi non è molto ascoltato. E della ritraduzione, ne hai sentito parlare?

Discepolo: No, ma è intuitivo. È quando un testo viene tradotto nuovamente.

Maestro: E perché si fa?

Discepolo: Forse per correggere errori o aggiornare la traduzione?

Maestro: Bravo!

Calvino amava i paradossi, e certamente lingua e letteratura ne offrono molti:

La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione. Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è proprio questa: il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo

Torniamo al nostro giovane ed entusiasta allievo, qui alle prese con l’epocale rapporto tra Cultura e Traduzione.

Maestro: Come pensi che la cultura influenzi la traduzione?

Discepolo: La cultura di origine o quella di destinazione, maestro?

Maestro: Entrambe. Rifletti.

Discepolo: La cultura può cambiare il modo in cui interpretiamo le parole.

Maestro: Precisamente. E le espressioni idiomatiche, come vanno tradotte?

Discepolo: Con equivalenti nella cultura di destinazione?

Maestro: Sì, ma non sempre è possibile. E allora?

Discepolo: Si deve trovare un modo per trasmettere lo stesso significato.

Maestro: Vedi, la traduzione, quindi, è anche adattamento. E le omissioni?

Discepolo: Non dovrebbero esserci, maestro.

Maestro: Eppure a volte ci sono. Perché?

Discepolo: Forse per brevità o perché qualcosa non ha senso nella lingua e cultura d’arrivo?

Maestro: Esatto. E gli errori di interpretazione?

Discepolo: Sono da evitare, maestro.

Maestro: Eh, ma purtroppo ricorrono. Come si possono prevenire?

Discepolo: Con una migliore comprensione del testo originale?

Maestro: Certo, il che significa non dare mai per scontata la prima interpretazione che ti sovviene. Anche s e ti sembra convincente ai limiti dell’ovvio. Perché il falso ha uno strumento di irresistibile attrazione. Quale potrebbe essere?

Discepolo: L’abilità di sembrare vero?

Maestro: E mai come ai nostri giorni!

Nelle Lezioni Americane di Calvino non poteva mancare una riflessione su realtà e fantasia alla luce della parola.

Comunque, tutte le “realtà” e le “fantasie” possono prendere forma solo attraverso la scrittura, nella quale esteriorità e interiorità, mondo e io, esperienza e fantasia appaiono composte della stessa materia verbale; le visioni polimorfe degli occhi e dell’anima si trovano contenute in righe uniformi di caratteri minuscoli o maiuscoli, di punti, di virgole, di parentesi; pagine di segni allineati fitti fitti come granelli di sabbia rappresentano lo spettacolo variopinto del mondo in una superficie sempre uguale e sempre diversa, come le dune spinte dal vento del deserto

Gli esami, come si suol dire, non finiscono mai, specialmente per il nostro giovanissimo allievo::

Maestro: C’è chi sostiene che tradurre è una forma di lettura o di ascolto ad alta intensità. Che vuol dire, secondo te?

Discepolo: Forse che tradurre richiede un’attenzione particolare, non solo alle parole, ma al ritmo, allo stile, ai significati nascosti?

Maestro: Esatto. E come si manifesta questa attenzione nel lavoro quotidiano del traduttore?

Discepolo: Immagino che il traduttore debba immergersi completamente nel testo, cogliendo ogni dettaglio, ogni sfumatura.

Maestro: Proprio così. E come affronta il traduttore le zone tradizionalmente ostiche del tradurre, come i dialoghi, gli incipit, gli enigmi?

Discepolo: Deve essere un processo complesso, maestro. Forse cercando di mantenere l’essenza del testo originale mentre lo rende accessibile al nuovo pubblico?

Maestro: Corretto. E cosa ci insegna il confronto con le versioni altrui?

Discepolo: Che possiamo imparare dagli altri e misurare il nostro lavoro rispetto al loro?

Maestro: Sì, e questo confronto ci permette di vedere il nostro personale processo di manipolazione del testo.

E veniamo a un altor paradosso che ci suggerisce Calvino:

“ Certo la letteratura non sarebbe mai esistita se una parte degli esseri umani non fosse stata incline a una forte introversione, a una scontentezza per il mondo com’è, a un dimenticarsi delle ore e dei giorni fissando lo sguardo sull’immobilità delle parole mute. Certo il mio carattere corrisponde alle caratteristiche tradizionali della categoria a cui appartengo: sono sempre stato anch’io un saturnino (cioè riflessivo e malinconico), qualsiasi maschera diversa abbia cercato d’indossare. Il mio culto di Mercurio corrisponde forse solo a un’aspirazione, a un voler essere: sono un saturnino che sogna di essere mercuriale (cioè vivace, scaltro), e tutto ciò che scrivo risente di queste due spinte”.

Ragionando di traduzione, vi sono alcuni concetti che è bene chiarire. Sentiamo come prosegue il nostro dialogo didattico:

Maestro: Che cosa significa tradurre con ‘attenzione per il ritmo della scrittura’?

Discepolo: Significa, forse, essere sensibili al flusso e alla musicalità del testo originale, maestro?

Maestro: Esatto. E i ‘caratteri stilistici più riposti’, come li affronta il traduttore?

Discepolo: Deve scovarli e trasportarli nel nuovo testo senza alterarne la sostanza.

Maestro: Proprio così. E gli ‘indizi infinitesimali’, come influenzano la traduzione?

Discepolo: Sono dettagli che possono cambiare completamente il significato se non interpretati correttamente?

Maestro: Corretto. E le ‘simmetrie, opposizioni, enigmi, reticenze e bugie’ che si trovano nei testi, come vanno gestite?

Discepolo: Immagino che il traduttore debba navigare in mezzo a queste sfide con cura, preservando l’intento dell’autore.

Maestro: Sì, e questo ci porta a considerare il tradurre come un ‘diario, un manuale, una resa dei conti, una collezione di storie’. Cosa ti suggerisce questa descrizione?

Discepolo: Che ogni traduzione è un viaggio personale, un’esperienza unica che lascia un’impronta su chi traduce.

Maestro: Esattamente. Ora, rifletti su come il ‘confronto con le versioni altrui’ possa essere uno strumento di crescita.

Discepolo: Beh, confrontarsi con altre traduzioni può offrire nuove prospettive e migliorare la propria pratica.

Maestro: Sì, e questo processo di confronto e riflessione è essenziale per affinare l’arte del tradurre. Infine, perché pensi che alcuni parlino non di scrittori, ma di scritture’?

Discepolo: Forse per enfatizzare che la traduzione è focalizzata sul testo e sulla sua trasformazione piuttosto che sull’autore?

Maestro: Precisamente. La traduzione è un dialogo con il testo, un’esplorazione delle sue molteplici dimensioni. Ogni traduzione è un atto di scoperta e creazione.

Addendum…

Maestro: Sai perché la traduzione dei classici latini e greci è così importante?

Discepolo: Immagino che ci permetta di comprendere il pensiero e la cultura degli antichi, maestro.

Maestro: Esatto. Ma cosa rende la traduzione di questi testi particolarmente difficile?

Discepolo: Forse la distanza temporale e le differenze culturali, maestro?

Maestro: Bene. E cosa ci insegnano le traduzioni dei testi antichi?

Discepolo: Che a volte è necessario andare oltre la traduzione parola per parola per catturare l’essenza del messaggio?

Maestro: Esatto. E come si mantiene l’equilibrio tra fedeltà al testo originale e leggibilità nella lingua di destinazione?

Discepolo: È un’arte, maestro. Richiede sensibilità e comprensione sia del testo che del lettore.

Maestro: Vero. E infine, discepolo, perché è importante continuare a tradurre i testi antichi, anche quando esistono già molte traduzioni?

Discepolo: Perché ogni traduzione può offrire una nuova interpretazione e nuove intuizioni, maestro?

Maestro: Precisamente. La traduzione è un dialogo senza fine con il passato, un modo per mantenere viva la nostra eredità culturale. Ma serve anche a darci conferma che il testo antico ci parla ancora, nella lingua che usiamo ora.

Più la forma è intrecciata al contenuto, più è difficile per chi traduce mantenere l’equilibrio tra bellezza e ricercatezza formale da un lato, e trasferimento del significato dall’altro. Ogni soluzione deve comunque mantenere lo spirito dell’originale, e a volte, abbiamo visto, per tradurre bene è meglio tradire.

I.De Palma

Bibliografia

I.Calvino, Lezioni Americane; Mondandori,2020.

F.Tiboni, The Dourateos Hippos, from allegory to archeology: a Phoenician ship to break the wall, in Archaeologia maritima mediterranea : International Journal on Underwater Archaeology : 13, 2016, Pisa : Fabrizio Serra, 2016 .

Per approfondimenti su lingua e

traduzione, da parte dell’autore:

S.Basso, Sul Tradurre; Mondadori, 2010

I.De Palma, (An)notazioni: Apollo, Sibilla e il caffè americano, Temperino Rosso; 2018.

Sitografia

Link alla conferenza presso il Centro Studi e Ricerche C.T.A.102, anno 2024/2025, 14 dicembre 2024 ore 21.00: https://www.youtube.com/watch?v=Ri4XYTmJv4w


[1] In realtà, si tratta di una ipotesi interessante ma non priva di alcune problematiche, Per approfondimenti: F.Tiboni, The Dourateos Hippos, from allegory to archeology: a Phoenician ship to break the wall, in Archaeologia maritima mediterranea : International Journal on Underwater Archaeology : 13, 2016, Pisa : Fabrizio Serra, 2016 .

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