Saper ascoltare.
Il primo passo per iniziare a lavorare concretamente sulla nostra capacità di comunicare consiste nel valutare, paradossalmente, la nostra capacità di analizzare con lucidità ed equilibrio i discorsi degli altri.
Quando una persona opera su se stessa un’onesta analisi della propria capacità di valutazione dei discorsi degli altri, si troverà necessariamente ad ammettere che spesso è stata ingannata.

Si troverà inoltre ad ammettere che, quando qualcuno l’ ha ingannata, ciò è avvenuto è perché, per prima, lei stessa lo ha in qualche modo desiderato.
Nessuno vuole consapevolmente essere ingannato. MA la maggior parte della gente preferisce una rappresentazione del mondo falsa, ma confacente ai suoi bisogni più profondi, a una rappresentazione vera ma psicologicamente o emotivamente difficile da accettare.
La gente vuole ciò di cui ha bisogno, e ciò di cui si ha bisogno non è per forza e sempre la verità.
Si ama credere che sia vero ciò che si ha bisogno che sia vero.
Inoltre, chi sostituisce la verità con il proprio bisogno necessita sempre che grandi masse di altre persone condividano questa falsa visione del mondo. Quindi, è proprio chi è meno sicuro delle proprie idee che desidera convincere gli altri.
Quindi? Quindi, più pensiamo che una idea sia impossibile da cambiare o da lasciar andare, più dovremmo dubitare di quell’idea. Infatti, chi c’inganna spesso non fa altro che giocare su quegl’inganni che, per primi, noi tendiamo a noi stessi.
Saper argomentare.
Le nostre capacità di ragionamento influenzano il nostro linguaggio e il nostro linguaggio influenza il nostro modo di pensare.
Ad esempio, se è vero che le persone arrabbiate usano un linguaggio aggressivo è anche vero il contrario: abituarsi a usare un linguaggio “forte” influisce sul nostro umore e sul nostro modo di porci verso gli altri. Un linguaggio povero corrisponde a pensieri poveri, elementari.
Lo stesso George Orwell aveva ben intuito l’importanza del linguaggio nel plasmare i pensieri e le emozioni delle persone.
“Ai nostri giorni, l’orazione e lo scritto politici sono perlopiù una difesa di ciò che non è difendibile. (…) Così il linguaggio politico deve essere costituito in larga parte di eufemismi, argomentazioni fallaci e una mera fumosa imprecisione. Villaggi indifesi sono bombardati dal cielo, gli abitanti sfollati in campagna, il bestiame mitragliato, le capanne messe a fuoco con proiettili incendiari: questo è detto pacificazione. (…) Persone sono imprigionate per anni senza processo o colpite da una pistolettata alla nuca o mandate a morire di scorbuto nei campi di lavoro siberiani: questo lo chiamano eliminazione di elementi inaffidabili. Questa fraseologia è necessaria se si vuole nominare le cose senza evocarne un’immagine mentale”. [1]
Volgendo il nostro sguardo indietro, lontano nel tempo, scopriamo come già nel VII secolo la tradizione indiana avesse espresso un’idea di comunione fra pensiero e linguaggio tramite la celebre figura del poeta e grammatico Bhatrhari.
L’ipotesi della relatività linguistica, secondo la quale la lingua è fortemente ancorata al pensiero, è anche nota con il nome degli antropologi statunitensi che se ne occuparono fra il XIX ed il XX secolo: Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf. Ma già il loro insegnante, il celeberrimo antropologo e linguista Franz Boas, aveva ampiamente anticipato l’idea che le categorie grammaticali e gli stili di vita fossero elementi profondamente interconnessi.
Queste teorie – va detto – sono state anche ampiamente criticate ma ciò non toglie come ad oggi sia altrettanto ampiamente accolta l’idea generale che il linguaggio non sia solo questione di comunicazione ma possa trasformarsi in un mezzo molto potente per plasmare il pensiero, le emozioni, la percezione dei valori.
“Ci sono alcune lingue che non hanno parole specifiche per i numeri, altre che descrivono i colori solo in termini di ‘chiaro’ e ‘scuro’, altre ancora che definiscono le medesime cose con generi grammaticali diversi (…) le persone che parlano lingue diverse, faranno attenzione a cose diverse (…) due persone che assistono allo stesso crimine ma parlano lingue diverse, finiranno per ricordare cose diverse dello stesso evento. (…) La mente umana non ha inventato un solo universo cognitivo (…) la lingua, ovviamente, è una cosa viva, che possiamo plasmare e cambiare (…)Dobbiamo allora cercare di preservare il più possibile questa ricchezza, perché ogni volta che incontriamo un’altra lingua e un’altra cultura, impariamo molto anche su noi stessi”.[2]
Insomma, dimmi come parli e ti dirò chi sei?
No, forse sarebbe eccessivo ma dimmi come parli e…ti dirò come potresti pensare e cosa potresti provare.
Analfabeti funzionali.
Un analfabeta è una persona che non sa leggere, scrivere e calcolare. Non sa farlo perché non ha mai imparato.
Un analfabeta funzionale è, invece, una persona che sa leggere, scrivere e calcolare ma, in realtà, non se ne fa nulla.
L’analfabeta funzionale, infatti, sa leggere una parola o riconoscere un numero, tuttavia non ne comprende pienamente il significato.Le informazioni assorbite da un testo, se non sono elementari (semplici istruzioni, ad esempio) cominciano a essere difficili da capire, valutare e quindi impiegare in modo efficace per il proprio percorso di conoscenza. Un analfabeta funzionale sa leggere ma, di fatto, ciò che legge non è inserito in un più vasto contesto creato dalle interconnessioni fra le informazioni che, a loro volta, producono mappe concettuali.
L’analfabeta funzionale è altamente manipolabile in quanto su una persona essenzialmente svuotata di pensieri è facile agire, soprattutto sollecitando le emozioni più immediate.
Un analfabeta funzionale è caratterizzato da almeno 5 caratteristiche:
1)Non sa comprendere adeguatamente testi – Manca la comprensione delle parole; manca la capacità di vagliare le fonti; manca la capacità di mantenere la concentrazione su testi lunghi.
2)Ha una scarsa capacità di sintesi – Non è in grado di selezionare le informazioni e disporle secondo una scala di valori. Non sa distinguere fra informazioni principali, parole chiave, informazioni secondarie o derivate dalle principali e, quindi, fatica anche a studiare e memorizzare.
3)Ha una scarsa e imprecisa conoscenza di fenomeni scientifici, politici o storici che dovrebbero costituire le basi della cultura “media” di una società – Non è in grado di collegare le informazioni e di farsi un quadro generale delle questioni.
4)Ha una spiccata tendenza a universalizzare la propria esperienza personale – E’ l’unica cosa che può fare perché conosce solo se stesso.
5)Manifesta attenzione selettiva – Tipicamente, applica un atteggiamento ebefrenico ai discorsi: ad esempio, vi è mai capitato di fare un discorso, magari lungo e articolato e di usare, a un certo punto, una parola…magari un po’ fuori posto…e sentire le persone ribattere a tutto il vostro discorso solo sulla base di quella malaugurata parola? Questo è il problema dell’attenzione selettiva: del vostro discorso – evidentemente complesso – non è stato capito nulla però, a un dato momento, avete usato una parola, che ha rapito tutta l’attenzione del vostro ascoltatore!Naturalmente, il senso di quella parola è stato preso e portato al di fuori del vostro discorso: la parola è stata, cioè, decontestualizzata.
Metacomunicazione
La metacomunicazione è una comunicazione…nella comunicazione. La metacominicazione è fondamentale perché corrisponde al livello in cui si trova il senso più completo di una comunicazione. E’ chiaro che due persone devono sapersi incontrare nel medesimo livello metacomunicativo perché, diversamente, si fraintenderanno.
Stile comunicativo: difesa e gestione
A volte i problemi nascono dallo stile comunicativo, che può essere disfunzionale. Le persone che sanno parlare bene dovrebbero porsi secondo un modello detto assertivo.
Le persone con uno stile tendenzialmente ASSERTIVO sanno esprimere i propri bisogni senza prevaricare. Per questo motivo non faticano a ottenere ascolto e anche rispetto. Tuttavia, non raramente capita che i bravi oratori impieghino ad hoc una forma aggressiva di comunicazione, per intimidire l’uditorio.
Ci sono dunque persone tendenzialmente aggressive; persone passive e infine, come detto, ci sono personeassertive. [4]
Le persone con uno stile tendenzialmente PASSIVO di comunicazione non ottengono quasi mai successo: faticano a comunicare sulla base dei loro bisogni; faticano a dire “no” e a farsi rispettare; parlano in modo monotono, con un linguaggio para-verbale evidentemente remissivo.
Spero di non annoiarla…
Potrei rubare solo un momento della vostra attenzione?

Sono giustificazioni tipiche dell’insicuro.
Dalla parte opposta si trovano le persone con uno stile tendenzialmente AGGRESSIVO: sono quelle che tendono a offrire il loro punto di vista come una verità e che, naturalmente, non ascoltano gli altri.
Se si sentono attaccate (a torto o ragione), reagiscono.
Nonostante quest’atteggiamento, può capitare che le persone che adottano uno stile comunicativo aggressivo risultino molto carismatiche.
Le persone più insidiose, però, sono quelle con uno stile PASSIVO-AGGRESSIVO: insultano senza farlo palesemente; propongono commenti ambigui o fuori luogo, osservazioni che feriscono senza dar l’impressione di volerlo fare. E’ difficile difendersi da chi adotta questo stile di comunicazione: o incassiamo o ci offendiamo, rischiando di passare dalla parte del torto.
Sì, perché queste persone rigirano le frittate con grande abilità! Passano molto rapidamente dalla parte delle vittime, pur essendo state loro ad attaccare.
Ci sono però alcune strategie interessanti per affrontare oratori così astuti:
A)Non arrabbiarsi mai; una comunicazione densa di rabbia trasforma la persona arrabbiata in chi attacca e l’attaccato in una vittima. Le persone, infatti, tendono a dar torto a chi alza il tono della voce o usa parole forti (anche se ha ragione!). Dunque, è necessario mantenere la calma, che poi è un modo per non darla vinta ai passivo-aggressivi.
B) Non si deve comunque cedere alle loro richieste perché questo opererebbe un rinforzo al loro atteggiamento.
C)Mostrare comprensione, serenità: dar loro ragione ma, al contempo, rimanere fermi sulle proprie posizioni. Con calma e semplicità.
D)Essere sempre molto chiari e diretti.
Argomento; argomentazione
L’ argomento è il risultato dell’argomentare. L’argomentazione è un discorso il cui obiettivo è convincere della verità o della falsità di qualcosa, ad esempio un’asserzione. Perché si deve argomentare? Perché nella discussione Nella critica la semplice asserzione non basta. Chi si prende la responsabilità di dichiarare qualcosa dovrebbe anche fornire adeguate spiegazioni. Chi ascolta dovrebbe sempre chiederle.
Certo, sostenere o confutare un’idea non è semplice.Però è importante: nella vita ci troveremo sicuramente a dover difendere le nostre scelte, magari impopolari; i nostri figli, le loro scelte e le loro azioni; le nostre decisioni. Non solo! La libertà è quanto di più prezioso l’uomo possieda: le scelte, le idee e le azioni che formano la nostra identità devono provenire da noi e dal nostro autentico esercizio della volontà. Dunque, non dobbiamo solo difendere ciò che ci rappresenta ma dobbiamo innanzitutto difenderci dalla capacità altrui di esercitare su di noi un’influenza eccessiva.
Ecco perché conoscere le tecniche dell’argomentazione è fondamentale.
Le tecniche…cioè? Le strategie!
Ci sono almeno 6 tipi di elementi a cui ricorrere per sostenere le nostre idee:
1.FATTI E DATI
Si tratta di introdurre nel discorso dei fatti obiettivi, osservabili e, come tali, inoppugnabili. I fatti, se ben introdotti, possono essere presentati a qualsiasi tipo di uditorio poiché la loro forza sta nell’essere innegabili.
Paolo mi odia, prova ne è ciò che fece un anno fa. Tentò di farmi licenziare.
E’ veramente pericoloso costruire una diga in queste condizioni. Tutti gli abitanti di Longarone furono travolti dall’incidente terribile del Vajont.
2.ESEMPI
L’esempio è meno universale e solido poiché fa riferimento a un dato circoscritto a determinate condizioni. Costituisce quindi un argomento un po’ più debole.
Gli esempi, però, stimolano il ragionamento induttivo nell’ascoltatore e quindi possono essere usati “ad arte” affinché l’uditorio stesso anticipi la nostra conclusione, ottenendo così un effetto di straordinaria efficacia.
Anche se siamo stati noi a portare chi ci ascolta (o ci legge) alla conclusione X, in genere gli altri non se ne accorgono e sono indotti a credere che la conclusione sia esclusivamente e interamente un loro prodotto.
Il consenso, in questo caso, è solidissimo.
Seppur più debole dell’argomentazione che usa i fatti, l’impiego degli esempi risulta quasi sempre efficace perché, appunto, gioca sul piano emotivo.
3.INDIZI
Gli indizi sono sempre dei fatti che, però, non sono rilevabili direttamente ma solo indirettamente. Gli indizi richiedono un’inferenza ma per questo possono sollecitare con particolare forza l’attenzione di chi ascolta o di chi legge. E’ una strategia un po’ più debole rispetto a quelle già citate e, quindi, più rischiosa.
4.CITAZIONI
Chi parla e vuole convincerci di un’idea potrebbe introdurre, nel discorso, alcune testimonianze. Magari portate da persone molto autorevoli in relazione a ciò di cui si discute.
Si pensi alle pubblicità e alle molte (spesso finte) testimonianze dei (finti, troppo spesso, anche loro) clienti: l’azienda potrebbe mentire ma un altro cliente appare certamente sincero. Il potenziale acquirente interpreta infatti come autorevole la testimonianza di un’altra persona che si trova ad avere le sue stesse esigenze.
L’abuso grottesco di questa strategia l’ha resa poco efficace nell’ambito della promozione eppure l’impiego di citazioni rimane una tecnica molto solida in altri ambiti.
In contesti diversi, la citazione di una fonte autorevole (uno scienziato, ad esempio o una celebrità) può conferire una forza eccezionale al discorso se non farsene la sola colonna portante.Non di rado, il ricorso alla citazione incappa nella fallacia dell’Ipse Dixit: davanti alla dichiarazione di una persona eccezionalmente credibile e autorevole, ogni domanda e ogni dubbio tende spontaneamente a scomparire.
5.OPINIONI
Le opinioni sono opinioni. Quindi, si dirà, che valore potrebbero avere a sostegno di un’idea?
L’opinione deve la sua forza solo ed esclusivamente sulla forza della condivisione. Le persone tendono – erroneamente – a considerare giuste quelle idee che sono abbracciate dalla maggior parte delle persone o che si tramandano stabilmente, come degli usi ad esempio, di generazione in generazione. Ogni cultura ha infatti una sua tradizionale mappa di valori condivisi e, per quanto assai poco razionale, il ricorso a questa è quasi sempre una strategia vincente.
Naturalmente, l’appello a un’opinione deve essere preceduto dall’attenta valutazione dell’uditorio: l’opinione è infatti, per sua natura, opinabile perciò tutti coloro da cui si desidera ricevere attenzione ed approvazione devono concordare.
6.RAGIONAMENTI
I ragionamenti costituiscono una strategia solidissima ma delicata. Si deve valutare attentamente l’uditorio, anche in questo caso, poiché portare con sé l’attenzione della gente durante lo sviluppo di un ragionamento può essere dispersivo.Le nostre argomentazioni potrebbero richiedere, ad esempio, il possesso di una serie di competenze specifiche o di un linguaggio tecnico che non è alla portata di tutti.
Anche l’obiettiva capacità di ragionamento della persona che si desidera convincere dev’essere valutata con onestà e lucidità. Spesso, coloro che parlano a grandi masse disomogenee tendono ad abbassare di molto la difficoltà dei ragionamenti e ad impiegare un lessico estremamente povero perché danno per scontato che si stanno rivolgendo a un pubblico di sciocchi e incompetenti: valutate lucidamente il modo in cui la gente si rivolge a voi e saprete cosa pensa veramente di voi!
Dunque, i ragionamenti si possono fondare su almeno 4 elementi:
- leggi naturali: ragionamento molto forte e semplice.
Le piante, d’estate, si annaffiano solo verso sera.
- relazioni logiche: strategia decisamente pericolosa, a meno di non trovarsi in un contesto specifico.
- norme: anche in questo caso si va sul sicuro.
- esperienze: si può ricorrere ad esperienze comuni per rafforzare un’idea ma è necessario non cadere nell’anedottica, che al contrario indebolisce l’argomentazione.
Per non commettere questo errore si deve innanzitutto saper valutare quanto la propria esperienza sia condivisa o condivisibile.
In secondo luogo, si deve saper valutare quanto, per le condizioni in cui si è verificata, l’esperienza sia eloquente.
…ci vediamo per un prossimo articolo sui Bias cognitivi e la Metacognizione.
Ti piacciono i nostri articoli? Leggi questo:
LA STORIA INFINITA: ANALISI FILOSOFICA ED ESOTERICA
[1] G.Orwell; Politica e lingua inglese (1946), in: G. Orwell: Usi della lingua inglese; 2004, p.23
[2] Da: https://www.ibsafoundation.org/it/la-lingua-che-parliamo-influenza-il-nostro-modo-di-pensare/ Per approfondimenti: B. Whorf, J. Carrol (a cura di); Grammatical Categories and Cognition: A Case Study of the Linguistic Relativity Hypothesis. Language, Thought, and Reality: Selected Writings of Benjamin Lee Whorf; Cambridge University Press.
[3] Quest’immagine gira da diversi anni in moltissimi siti e social. La presente è tratta da: https://traeitalia.it/analfabeta-a-chi/
[4] Si trovano tante interessanti informazioni su questo tema, sia in internet, attraverso siti curati e affidabili, che attraverso la lettura di testi agilmente reperibili. Qualche suggerimento per una ricerca online: https://drcollevecchio.it/tre-stili-comunicativi/ – https://staticmy.zanichelli.it/catalogo/assets/9788808923837_04_CAP.pdf
https://www.dottssagildadinardo.com/post/2019/01/31/gli-stili-comunicativi

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