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Le Sirene nel mondo mitologico dell’antica Grecia: una sintesi
Una premessa
La figura della Sirena rappresenta, certamente, uno fra i motivi più attraenti dell’antichità. Dagli echi omerici fino alla contemporanea cultura pop, questa figura, da sempre concepita come un ibrido fra il mondo umano e quello animale, non cessa di affascinare e si offre continuamente quale fucina per l’elaborazione di rinnovate interpretazioni.
La Sirena è per sua natura ambigua e dunque la ricezione di questa figura si è legata (e si lega) al costante mutare della relazione che intercorre fra la civiltà ed il mondo naturale: risulta dunque ovvia la sua oscillante posizione, ora decisamente oscura e ora persino benevola. Ora portatrice di valori mortiferi ed ora custode di suggestioni vitalizzanti.

Stamnos ateniese a f.r., V a.C. British Museum[1]
Ove la tensione fra ragione e istinto, fra civiltà e natura genera contrasto, la Sirena si lega maggiormente agli elementi selvatici e quindi rappresenta l’apoteosi di quelle forze caotiche entro le quali l’opera dell’Uomo non riesce a scorgere la possibilità di agire in senso razionale, secondo quella proiezione che vede la ragione elevarsi su un mondo percepito come incontrollabile e, dunque, minaccioso. Non solo nel mondo greco, come vedremo, la Sirena è dunque e innanzitutto creatura ambivalente, imprendibile, generatrice di sospetto e significativamente portatrice di quegli elementi collegati alla minaccia, al pericolo se non alla morte: sotto questo punto di vista, la sua dimensione ci ricorda quella assunta dalla selva nell’immaginario medievale- un luogo non illuminato da quella ragione propria dell’Uomo inteso come creatura divina che, dal potere ordinatore di Dio, trae la forza e il diritto di dominare la natura.
Ove, al contrario, la tensione fra la dimensione umana e quella naturale si risolve nella ricerca di una compenetrazione, la Sirena assume su di sé la manifestazione di un universo valoriale rinnovato: non è più tempo di lottare contro il caos, la natura, l’istinto ma è tempo di unione. Non a caso, proprio a questo allude la percezione della figura della Sirena nella contemporaneità, profondamente segnata da tematiche quali il rispetto per la natura e gli animali, l’ecologia, l’accoglimento della diversità.
La Sirena cessa di rappresentare il mondo bestiale inteso come “inferiore” e si eleva a creatura magica, incantevole, numinosa, allegoria di un insolito ricco di fascino e promesse.

La Sirena e il Centauro. Particolare da un Bestiario medievale;. The J. Paul Getty Museum[2]
Necessariamente, anche la rappresentazione della Sirena va incontro ad una evoluzione piuttosto significativa. Dall’immagine classica, che nasce dalla congiunzione (certamente più minacciosa) fra un volatile ed una donna, la Sirena si trasforma lentamente in un essere metà donna e metà pesce. Ne è già testimone Luciano di Samosata[3] ma la convivenza dell’aspetto ittiomorfo e ornitomorfo permane certamente a lungo e forse solo a partire dal VII secolo la forma originaria inizia a cedere sempre più decisamente il passo alla “nuova” rappresentazione, che si impone infine assai più tenacemente nel contesto raffigurativo moderno e contemporaneo.
E’ forse determinante, in questo, anche l’elemento squisitamente estetico, che più si esalta nella prosecuzione delle morbide forme femminile nella coda agile di un pesce, facendo della Sirena una creatura dotata innanzitutto di inusuale bellezza, sia essa pura che foriera di un pericolo nascosto. In questa versione certamente più romantica della Sirena, la spontanea repulsione per il mostruoso lascia spazio alla tenerezza suscitata anche dalla sensualità e l’orrore cede alla meraviglia: elementi entrambi ben presenti nella celeberrima, tragica narrazione Den lille Havfrue del danese Hans Christian Andersen a sua volta ispirata dall’Undine di Friederich de la Motte Pouqué, basato sulle suggestioni del folklore germanico.
Infine, nelle immagini veicolate dalla contemporanea cultura pop, l’antica, insidiosa e crudele assassina di marinai si è trasformata in una deliziosa creatura dalla coda variopinta, dal volto infantile, dagli splendidi e lunghi capelli che si congiungono ai flutti marini: la minaccia è ormai dimenticata per lasciar spazio a un materiale adatto persino ai bambini e dunque a decorazioni di diari, penne, pigiami e tutine, coperte, cartelle… e le bimbe sognano di diventare sirene, intrattenendosi con cartoni animati dove la protagonista, Sirena, è del tutto assimilabile all’ideazione della “bella principessa” ma dotata di allettanti poteri prodigiosi.
Ritorno alle origini
Le radici occidentali della figura della Sirena sono certamente da ricercarsi entro l’ampio panorama offerto dalle narrazioni del mito greco, ove – per altro – animali ibridi e creature singolari abbondano.
Analizzando, seppur in generale, la storia di queste curiose singolarità, sarà piuttosto facile notare come sia l’elemento più prossimo al mondo mortale o ctonio a prevalere. Se la creatura è figlia di un Dio e di un mortale, sarà proprio la componente umana a prevalere e se l’unione contempla l’elemento umano e quello bestiale, sarà quest’ultimo a determinare il carattere e la funzione della creatura.
Così è persino nel caso in cui non vi sia una ibridazione che si rende evidente nell’aspetto, basti pensare ai numerosi casi dei figli nati da un Dio e da una donna mortale. L’eroe Eracle, ad esempio, che è figlio di Zeus e Alcmena, si presenta come mortale in odio ad Hera ed il prevalere della sua componente numinosa sarà un traguardo, ricercato tramite le prove e infine raggiunto mediante l’Apoteosi.
Anche il Minotauro segue la medesima sorte che vede prevalere l’elemento più “basso”: nato dall’incontro fra una donna – la nobile Pasifae – ed un animale – il toro – possiede un corpo mostruoso e spaventoso, si rivela creatura orribile e feroce, incontrollabile e pericolosa e la sua funzione, nel mito, è legata al sacrificio umano.
“Minosse (…)sacrificando a Poseidone, pregò che un toro apparisse dalle profondità del mare e promise di sacrificarlo al suo apparire. E Poseidone gli mandò uno splendido toro. Così Minosse ricevette il comando, ma mandò il toro a le sue mandrie e ne sacrificò un altro (…) Poseidone era arrabbiato perché il toro non era stato sacrificato e lo fece impazzire. Inoltre proclamò che Pasifae avrebbe dovuto sviluppare una passione per esso (…) Pasifae diede alla luce Asterios che fu chiamato Minotauro. Aveva la faccia di un toro, ma per il resto era umano. Minosse, seguendo alcune istruzioni oracolari, lo tenne confinato e sorvegliato nel labirinto. Questo labirinto, costruito da Daidalos, era una “gabbia con flessioni contorte che disordinano lo sbocco”.[5]
Entro questo panorama, l’allegoria del massimo disordine e pericolo è assunta da quelle creature che mostrano ibridazioni con più animali. Valga, a titolo d’esempio, il caso della Chimera: “(…) una cosa di fattura immortale, non umana, con la fronte di leone e il serpente dietro, una capra in mezzo, e sbuffando l’alito della terribile fiamma di fuoco splendente”.[6]
“(…) la Chimera che sbuffava fuoco furioso, una bestia grande e terribile, forte e dai piedi veloci. Le sue teste erano tre: una era quella di un leone dagli occhi abbaglianti, una di una capra, e il terzo di un serpente”. [7]

Particolare della Chimera da un’anfora etrusca presso Vulci; 530 a.C.
A sconfiggere quest’essere terribile è l’eroe Bellerofonte, aiutato da un’altra creatura ibrida, Pegaso, un cavallo che possiede le ali: in questo caso, la prospettiva valoriale appare rovesciata e nel cavallo prevale una componente benefica seppur potentemente selvatica (è infatti assai difficile domarlo). Presso Corinto, Bellerofonte trascorre una notte nel tempio di Athena che gli dona le briglie d’oro per catturare il cavallo alato e con esso affrontare il temibile mostro. L’eroe lo sconfigge ma, approfittando delle ali della cavalcatura cerca di spingersi verso i cieli più alti e forse disarcionato dallo stesso Pegaso, precipita.[8]
Dunque anche nel modello (genericamente definibile come positivo) di Pegaso si nasconde una insidia, che per essere contenuta necessita dell’intervento numinoso.
Il tema della Sirena nell’antica Grecia va dunque e innanzitutto collocato entro quest’ampio panorama offerto da un mito che, come visto, chiama in causa la presenza di molti animali ibridi e creature bizzarre, quasi sempre interpretati in senso caotico, selvatico e mortifero con la prevalenza (salvo eccezioni) dell’elemento inferiore.
Come si accennava già in apertura, la Sirena è caratterizzata dall’essere in parte umana ed in parte creatura alata. Ciò che dunque arriva a noi, dalle testimonianze letterarie e iconografiche, è appunto un ibrido che, come nei citati casi del Minotauro o della Chimera, o come nei casi delle Gorgoni o ancora di Scilla, possiede una connotazione fortemente ambivalente se non decisamente mortifera.
Nell’ambito del mito greco, le creature dall’aspetto ibrido sono violente e temibili anche perché rappresentano, di volta in volta, la proiezione di pericoli naturali o addirittura sono il risultato di elementi propri di culti precedenti abbandonati o soppiantati da culti successivi.
Talvolta, la loro mostruosità implica il giudizio su popolazioni lontane,“diverse” e quindi immaginate come intatte dal processo di civilizzazione. “Una delle figure mitologiche più enigmatiche e longeve del mondo antico è evidentemente la sirena punto un essere ascrivibile a pieno titolo alla categoria warburghiana delle Pathosformeln, formule del patetico, raffigurazioni mitologiche lasciate in eredità dagli antichi, testimonianze di stati d’animo divenuti immagine. La sirena costituisce infatti uno di quei casi in cui non è possibile distinguere fra forme e contenuto. Carica emotiva e formule iconografica sono un tutt’uno”.[9]
Nel caso specifico della Sirena, però, l’aspetto negativo e la contemporanea associazione al mondo ctonio e marino (in entrambi i casi, si tratta di associazioni frequenti per gli elementi caotici), si accompagna, all’interno delle fonti, anche ad alcuni curiosi aspetti positivi.
Qual è dunque la rappresentazione specifica della Sirena? Perché si chiama così e, soprattutto, com’è presentata questa creatura dalle narrazioni mitologiche?
In verità, la Sirena è un essere che s’incontra sporadicamente nel mito greco e la sua presenza non risulta determinante. Può costituire uno dei vari pericoli che un eroe deve affrontare oppure essere invocata quale abitatrice della casa di Hades o addirittura quale diretta frequentatrice delle anime dei defunti.
Per quanto concerne il nome, la questione si dimostra piuttosto complessa e il termine Σειρῆνες rimane ampiamente discusso. Si è tentato un confronto con il termine σειρά, considerando l’analogia fra la “corda”, appunto, e l’atto della “legatura” operato dalla sirena che, come vedremo, tramite la sua musica ipnotizza.[10] Ma vi è chi ha invece inteso collegare questa parola al nome della stella Sirio – Σείριος – in riferimento all’idea che le Sirene e la loro apparizione potesse legarsi alla stagione estiva e dunque alla costellazione del Cane. Di tutt’altro avviso sono quelle teorie che si concentrano invece sul rapporto fra il termine sirena e la radice verbale *gher-, con il significato di “desiderare”[11] o che legano il termine alla radice indoeuropea che allude al verbo “risuonare”.[12]
Se la ricostruzione del termine si presenta, per ora, piuttosto ostica, più semplice è l’osservazione delle tracce letterarie e iconografiche relative a questa figura, presente – come noto – a partire dall’Odissea nel ruolo di una insidiosa tentatrice, capace di lusingare la propria vittima secondo quanto più potrebbe tentarla.
La complessità di significati insiti nell’episodio omerico delle Sirene è tale da renderne l’analisi territorio assai insidioso. Limitiamoci dunque a ricordare cosa accade: l’eroe Odisseo, costretto a vincere gli inganni delle Sirene per proseguire il proprio viaggio di ritorno a Itaca, elabora uno stratagemma che gli consente di ascoltare il suono ammaliatore di queste creature senza caderne vittima; tapperà le orecchie dei propri compagni con della cera ammorbidita e quindi si farà legare strettamente all’albero maestro della nave:
“…e intanto il ben costrutto naviglio era all’isola giunto
delle Sirene, in brev’ora: ché il vento spirava propizio.
Ma, giunti qui, la brezza cessò, fu bonaccia sul mare,
senza piú soffio di vento, sopir fece un dèmone i flutti,
(…)
Con l’affilata spada di bronzo un gran disco di cera
allora io sminuzzai, la plasmai (…) ai miei compagni le orecchie rempiei.
Essi le mani allora mi strinsero insieme ed i piedi;
poscia, con funi, a ridosso mi strinser dell’albero; ed essi,
seduti ai banchi, il mare spumoso battevan coi remi.
(…) le Sirene videro il legno
che s’accostava; e la voce canora spiegarono al canto:
Vieni qui dunque, Ulisse famoso, fulgor degli Achivi:
ferma la nave, ché udire tu possa la nostra canzone:
poi che nessuno passò qui oltre col cerulo legno,
pria che dal nostro labbro udisse il mellifluo canto:
lieto chi l’ode, e ricco di molta scienza poi parte:
poi che sappiamo tutto, sappiam (…)
Questo, levando la voce soave, dicevano; e il cuore
mi si struggeva di brama, coi cigli imponevo ai compagni
che mi sciogliesser dai lacci; ma quelli sforzavano i remi”.[13]
Possiamo provare a immaginare questo canto così irresistibile?
Sì, le fonti, in questo senso, ci aiutano. La voce delle Sirene è φθόγγος : si tratta di termine piuttosto complesso da analizzare, probabilmente da intendersi correttamente secondo la volontà di porre l’accento sulla modalità di ricezione del suono (quindi secondo le qualità acustico-percettive del suono) ed è sicuramente un termine legato all’emissione della voce in un contesto di pericolo; in parole povere, è impiegato quando si deve indicare la pericolosità delle
Sirène; φθόγγος è insomma riferito a un suono quasi inarticolato, indecifrabile e legato alla dimensione sgradevole e negativa del canto, quella mortifera che dev’essere fuggita.
Quella delle Sirene è però anche una voce che ipnotizza e infatti è legata anche al verbo θελγω, che indica l’atto di ammaliare.[14]
“Circe ha esortato a fuggirle, spiegando solo che θελγουσιν col loro canto”.[15]
Come? Ad esempio, Odisseo è chiamato μέγα κῦδος Ἀχαιῶν .[16] .
Abbiamo poi ὄψ – grido, canto, suono – e ἀοιδή – termine che emerge innanzitutto quando Odisseo è messo in guardia circa il pericolo che lo attende: è, per altro, lo stesso che, in Apollonio Rodio, caratterizza il canto prodigioso di Orfeo.
La voce delle Sirene è poi anche legata all’aggettivo λιγυρος, che indica sia il carattere stridente, che un effetto sonoro forte, chiaro, acuto, tanto che nell’Iliade è associato anche al suono del vento o al canto di alcuni uccelli[17] e, come vedremo, risulta concorde con quanto ci è noto anche in merito ai lamenti funebri accompagnati dall’aulo. Queste considerazioni le riprenderemo a breve in relazione all’associazione fra le Sirene e la casa di Hades.
Omero enfatizza anche il potere mantico delle Sirene, le quali tutto conoscono, creando così un quadro già ben definito del loro status: si tratta di creature estremamente insidiose, che colpiscono mediante l’emissione di suoni capaci di sovrastare il volere dei mortali e che si fanno portatrici di un sapere che va oltre quello umano.
Possiamo qui rilevare un’analogia davvero molto curiosa e interessante: l’associazione fra un modo particolare di emettere voce e il potere mantico non è solo delle Sirene. Anche la Pizia di Delfi, infatti, emetteva i suoi oracoli impiegando una particolare declinazione della voce, probabilmente “salmodiando” e, certamente, per coloro che si rivolgevano al Santuario di Delfi non era la vista della Sacerdotessa ad essere elemento fondamentale bensì proprio l’ascolto delle sue sentenze e della modalità con cui erano proferite.[18]
La più antica testimonianza relativa al suono della voce emesso dalla Pizia si deve a Pindaro,[19]che parla, ad esempio, di κέλαδος – termine che indica il rumore, come il pianto di un neonato, il fruscio del vento, il suono delle acque dei fiumi e che nel caso specifico indica una voce alta e sonante – e αὐδή (che in Omero è un termine riferito anche alla voce di Circe e Calipso).
Si usa poi il verbo αὐδάω, che ricollegato ad ἀείδω[20] serve per indicare l’enunciazione del vaticino, pronunciato quindi con voce armoniosa.
Simile, probabilmente, è dunque il suono che dalle Sirene colpisce l’udito della vittima prescelta: la voce è modulata, netta, ipnotizzante.
“Πρῶτά νυν Ὀρφῆος μνησώμεθα, τόν ῥά ποτ’ αὐτὴ
Καλλιόπη Θρήικι φατίζεται εὐνηθεῖσα
Οἰάγρῳ σκοπιῆς Πιμπληίδος ἄγχι τεκέσθαι.
αὐτὰρ τόνγ’ ἐνέπουσιν ἀτειρέας οὔρεσι πέτρας
θέλξαι ἀοιδάων ἐνοπῇ ποταμῶν τε ῥέεθρα”. [21]
E quindi:
“Σειρῆνας μὲν πρῶτον ἀφίξεαι, αἵ ῥά τε πάντας
ἀνθρώπους θέλγουσιν, ὅτίς σφεας εἰσαφίκηται.
ὅς τις ἀϊδρείῃ πελάσῃ καὶ φθόγγον ἀκούσῃ
Σειρήνων, τῷ δ’ οὔ τι γυνὴ καὶ νήπια τέκνα
οἴκαδε νοστήσαντι παρίσταται οὐδὲ γάνυνται,
ἀλλά τε Σειρῆνες λιγυρῇ θέλγουσιν ἀοιδῇ,
ἥμεναι ἐν λειμῶνι· πολὺς δ’ ἀμφ’ ὀστεόφιν θὶς
ἀνδρῶν πυθομένων, περὶ δὲ ῥινοὶ μινύθουσιν”.[22]
Delle Sirene conosciamo dunque e innanzitutto l’effetto “sonoro” prodotto sulle vittime ammaliate.
Un effetto declinato innanzitutto e prevalentemente in senso negativo e schiettamente mortifero: un simile potere, tutto concentrato sul dato uditivo, è difficile da sconfiggere (Odisseo non annienta il suono delle Sirene, vi resiste in quanto legato saldamente dai compagni) a meno che non vi si “sovrapponga” qualcosa di simile come, ad esempio, un altro suono.
Così avviene, infatti, quando le Sirene sono vinte dall’intervento del cantore Orfeo e della sua lyra.
Già famoso ai tempi di Ibico, Simonide lo immagina quale ammaliatore capace di agire sugli animali e gli elementi della natura: “E infiniti / volavano uccelli sopra il suo capo, / e alti fuori dall’onda azzurra / balzavano i pesci al bel canto” e quindi, così, Pindaro nella Pitica IV – “Da Apollo giunse poi il maestro di lira, padre / dei canti, Orfeo molto lodato”.
Dell’episodio specifico nel quale Orfeo si misura con le Sirene ci parla Apollonio Rodio,[23] dopo averci fornito una serie di informazioni sulla stessa genesi di questi esseri metà umani e metà volatili:
“La bella Tersicore, una delle Muse, le aveva generate
dopo essersi unita all’Acheloo; un tempo erano ancelle
della potente figlia di Deò, quando ancora era vergine,
e cantavano insieme con lei: ma ora apparivano in parte
simili a fanciulle nel corpo e in parte ad uccelli.
Sempre appostate su una rupe munita di buoni approdi,
avevano privato moltissimi uomini della gioia del ritorno
(…) ma il Tracio Orfeo, figlio di Eagro, tendendo la cetra
(…) fece risuonare le note allegre
di una canzone dal ritmo veloce, affinché il suono
sovrapposto della sua musica rimbombasse nelle loro
orecchie. La cetra vinse la voce delle fanciulle: Zefiro
e insieme le onde sospinsero
la nave, e il loro canto si fece un suono indistinto”.[24]
Il confronto con il canto di Orfeo è necessario in quanto, come visto, delle Sirene, il dato uditivo è quello più importante.
Omero non si sofferma neppure a descriverle fisicamente: perché? Sicuramente è probabile che si trattasse di un tema, al tempo, ampiamente noto; va altresì considerata la possibilità che – essendo la descrizione delle Sirene tutta concentrata entro il campo semantico del suono – le Sirene potessero essere concepite sostanzialmente come degli uccelli, più che come delle donne.
Così risulta anche all’analisi di numerose attestazioni iconografiche vascolari – “gli artigiani riprodussero più volte l’episodio senza aver presente il testo numerico, tuttavia è credibile che le parole del poeta risuonassero le loro orecchie pur in maniera imprecisa e approssimativa”. [25]
Sicuramente, poi, il loro aspetto ibrido le legava alla bruttezza che, secondo l’etica greca arcaica, era sintomo di falsità, di pericolo e ovviamente di morte. Perciò, già in Omero, la Sirena è associata all’Aldilà, ad Hades, al luogo del “brutto” per eccellenza.
Gradevole (ad esempio, secondo Esiodo) o sgradevole (secondo Omero) che sia, il canto delle Sirene è comunque menzognero e mortifero.
Curiosa però è l’associazione fra questa dimensione di morte e un’azione talvolta di carattere positivo: più avanti, nel XX canto, nel corso della notte che precede la gara che stabilirà le nuove nozze di Penelope, la signora di Itaca è colta in un pianto di sconforto e, rivolta ad Artemide una accorata preghiera, chiede di essere ghermita e portata lontano, in una metafora di morte.
Una interessante associazione fra un lamento e l’intervento di creature alate e ghermitrici che si può forse collegare al più celebre pianto di Elena. La donna, supplice, è presso la sua tomba… nella parodo amebea dell’Elena di Euripide (vv. 164-252) la protagonista, disperata, invoca le alate Sirene:
“Ahi! Alate fanciulle, vergini della Terra figlie, Sirene, ai miei gemiti
vogliate venire, recando l’aulo libico, le siringhe e le lire, lacrime concordi ai
miei lutti, patimenti ai patimenti, canti ai canti; Persefone mandi questi cori
funesti consoni ai miei canti luttuosi, perché in ringraziamento, oltre alle lacrime,
da me riceva nelle sue dimore notturne un peana per i morti uccisi”
Elena sta pregando le Sirene di volare presso di lei:[26] “l’obiettivo dell’invocazione è stato bene messo in evidenza, pur con diverse sfumature, da studiosi di musica antica che in tempi recenti si sono occupati di questi versi. Si tratta di potenziare, garantendone l’arrivo in Ade, l’efficacia del lamento intonato da Elena per i morti provocati dai fatti troiani, con la richiesta alle vergini di un accompagnamento musicale canoro”.[27] Questo sarà accompagnato da strumenti musicali.
Euripide scrive che le Sirene giungeranno alla donna per volere di Persefone, che è appunto la sovrana della casa di Hades: proprio qui parrebbero trovarsi le alate fanciulle invocate da Elena.
Tuttavia è anche possibile che la Dea si muova verso la loro sede, che è individuata in modo incerto fin dall’antichità. O forse, il lamento delle Sirene potrebbe salire al mondo dei vivi direttamente dalle sedi dell’Oltretomba…
La loro azione si configura, comunque, secondo un modello di aiuto e quindi secondo una sfumatura che seppur ctonia e infera è di fatto positiva e ci porta piuttosto lontano dall’immagine omerica, con la quale abbiamo aperto questo intervento.
Non si tratta più di ammaliatrici mortali che uccidono gli incauti,“ipnotizzandoli” col suono emesso dalla loro voce e dai loro strumenti ma di compagne di lamento, accompagnatrici del regno della Morte. Le Sirene sono dunque anche delle consolatrici dell’anima che erra dopo la morte nell’atmosfera…[28]Questo dato ha per altro un interessante riscontro iconografico, soprattutto in età classica, in relazione a figurazioni tombali e ci si chiede se (dal vicino oriente?) si possa ricostruire un filo che si snoda fino alla Sirena greca quale “operatrice” dell’Aldilà in quanto essere capace di placare i defunti in virtù del potere specifico del suono emesso dalla voce o dagli strumenti.
Si tratta di una considerazione che ci riporta, ancora una volta, al canto di Orfeo il quale, nel corso della catabasi, ammansisce le creature inferi grazie alla lyra e ottiene i favori del dio Hades avendo cantato per lui.
Del resto, le Sirene non si limitano a cantare ma, proprio come Orfeo, suonano: anche Licofrone[29] parla di Sirene che suonano – la prima e la terza (quando le sirene sono tre, appunto, e non due) , in particolare, si dedicano alla lyra (o alla cetra) ed al flauto. Del resto, se, come appunto ritengono Licofrone e Apollonio Rodio, esse discendono da Tersicore, è piuttosto naturale che si realizzi una sorta di fusione con le Muse.
Sarebbe allora interessante una ricostruzione certa della genealogia delle Sirene ma, purtroppo, essa appare davvero poco lineare.
Possedevano, queste creature, dei nomi propri? Sì, in quanto di Sirene non ve n’era una sola per la quale il termine “sirena” fosse quindi sufficiente. Per poterle differenziare era necessario tramandare anche nomi propri, come accade per altri gruppi di creature (benevole o malevole): basti pensare alle Muse, appunto, alle Gorgoni o alle Erinni.[30]
Secondo alcuni, si chiamavano Aglaopheme e Thelxiepeia,[31] ma se erano tre, Peisinoë, Aglaope e Thelxiepeia[32] o, ancora, Parthenope, Ligeia e Leucosia.[33] A volte sono figlie di Forzo, a volte di Acheloo e Sterope o di Tersicore o di Gea… la questione è aperta ed è abbastanza ovvio per simili creature oscillanti fra il bello ed il mostruoso.
Dove vivono le Sirene? Possiamo, almeno su questo dato, avere delle certezze?
No, purtroppo anche il luogo dove esse risiedono è fonte di dibattito. Vivono presso Sorrento? Capri? Senza considerare le rare occasioni in cui le Sirene sono associate a zone esotiche del Vicino Oriente, l’area sembra comunque essere quella e addirittura, secondo Strabone, la tomba di Partenope si trovava proprio nell’attuale Napoli e nella Penisola Sorrentina vi sorgeva addirittura un Tempio.[34]
Anche la casa di Hades dev’essere necessariamente annoverata fra i luoghi ove le Sirene, più o meno abitualmente, risiedono.
Questa considerazione si lega al fatto che è possibile, se non necessario, pensare al tema delle Sirene anche come una sorta di duplicato “infernale” del tema delle Muse. Si tratta delle Sirene che, come già accennato, con i loro strumenti ed il loro canto si fanno divinità psicopompe, accompagnando e placando le anime dei defunti nel loro ultimo viaggio oltre la vita.[35] Si tratta di una associazione che si dimostra non solo esistente ma tenace, se persino Plutarco non esita a confondere fra loro Sirene e Muse…[36]
Ma l’associazione delle Sirene con le leggi dell’Aldilà appare, del resto, già in Sofocle[37] che appunto le indica[38]come parenti delle citate Gorgoni e di altri esseri mostruosi e mortiferi. Anche Platone le colloca nella casa di Hades[39].
Conclusioni
La Sirena rappresenta un tema di ancestrali origini, forse orientali, già ampiamente noto in epoca omerica e stabilmente presente entro il panorama del mito greco.
Ad oggi, la Sirena è percepita come elemento sostanzialmente positivo: questo si deve anche ad un mutato rapporto fra la dimensione umana-razionale e quella naturale-animalesca-caotica ma in un mondo ove la natura incontrollabile rappresenta costante fonte di incertezza, un pericolo naturale può essere reificato in un animale o in un ibrido fra la dimensione umana e quella bestiale.
Se è possibile che anticamente la Sirena fosse intesa come un uccello, le fonti più antiche in nostro possesso ne mostrano invece un aspetto ibrido e, quindi, ambivalente: indipendentemente dalla sua genealogia, la Sirena è legata al mondo selvatico, imprendibile, caotico della natura e, in particolare è legata ai rapaci, che rappresentano una minaccia piuttosto evidente, che spaventano con i loro artigli che ghermiscono le prede e che annunciano il loro arrivo con un suono potente, acuto, stridente, penetrante.
Tale appare essere, non a caso, la voce delle sirene, associabile fin dalle prime testimonianze con il fischio del vento, lo schiocco di una frusta, il verso dei rapaci.
L’azione delle Sirene (e il dato sonoro che le caratterizza) dev’essere oggetto di confronto con altre figure la cui peculiarità risiede nel canto e nella musica: sotto questo profilo risulta fondamentale confrontare la descrizione del suono prodotto dall’azione delle Sirene con le storie riguardanti il cantore Orfeo.
Va però anche considerato un parallelismo con le modalità di emissione della voce della Pizia di Delfi poiché anche questa figura presenta una suggestiva associazione fra il “suono” e la “profezia” – si tratta di un elemento che lega la Pizia alle Sirene che sono presentate anche come depositarie di un sapere vasto, assolutamente oltre i limiti della conoscenza concessa ai semplici mortali.
Nella descrizione della Sirena, che è per sua natura ambivalente, imprevedibile e pericolosa, il dato uditivo è quello fondamentale: il suono della voce e degli strumenti delle Sirene si presta anche ad un confronto con i canti funebri e la Sirena assume la forma della consolatrice delle anime, della guida nel regno dell’Aldilà suggerendoci, ancora una volta, un legame con Orfeo e il suono di quella sua divina lyra che ammansiva piante e animali e permetteva la discesa nella casa di Hades.
Il legame fra le Sirene e gli Inferi si dimostra tenace e duraturo, tanto nella loro indiretta associazione (che emerge dall’azione mortifera), quanto nella loro mansione di Muse “oscure”.
A conclusione di quanto sintetizzato circa il motivo sirenico nell’ambito della cultura greca, proponiamo alcuni dati iconografici di sicuro interesse.
fig.1
fig.2
Siamo in presenza di prodotti locali e non d’importazione: un primo askos in bronzo databile alla metà del VI a.C. mostra la sirena con le ali chiuse. La parte femminile mostra l’influsso laconico nel pendente e nel polos. Potrebbe trattarsi di un ex-voto da ricollegare al non lontano Santuario (Località Manca della Vozza) probabilmente dedicato ad una divinità femminile agricola.
Il secondo askos deriva da un contesto funerario, cioè da un corredo. La sirena ha le ali chiuse ma a queste si accompagnano due braccia, poste correttamente secondo l’anatomia umana: con la mano sinistra sorregge una melagrana che ha un evidente richiamo di carattere ctonio.
fig.3
Una sirena con le ali aperte ma senza braccia umane appare in una coppa attica a figure nere databile all’inizio del V secolo a..C.
fig.4
Ancora sirene con le ali aperte e senza braccia – le braccia sono sostituite dalle ali – appaiono in una coppa attica (Pittore di Tleson) databile alla fine del VI sec. a. C.
fig.5
In questo stamnos a f.r. databile al 460 a.C. nuovamente le sirene sono tre. Non hanno braccia umane ma ali spiegate. Una, a destra, osserva la scena mentre la sua compagna sembra gettarsi sui compagni di Odisseo, intenti a remare. Al centro vi è l’eroe legato al palo mentre la rappresentazione riporta l’osservatore nell’area in alto a destra, ove una terza Sirena spiega le ali come se volesse unirsi al volo. Non hanno strumenti musicali, né – a differenza di altre raffigurazioni – sembrano portare gioielli ma la testa è adorna dello sphendone – una sorta di piccola sciarpa che copriva la parte inferiore dello chignon.
fig.4
In questa oinochoe databile al 520 a.C., l’episodio rappresentato nel campo metopale propone tre sirene che, su una roccia, attendono l’arrivo di Odisseo e dei suoi compagni. Oltre alle ali hanno le braccia e sorreggono la lyra ed il doppio flauto.
fig.6
Interessantissima infine è la testimonianza iconografica (Cratere a campana lucano, 340-320 a.C) delle Sirene associate al τύμπανον, strumento associato ai culti estatici di Dioniso e Cibele ma pur presente in contesti legati a canti funerari.
Corinna Zaffarana
Bibliografia
L. Breglia Pulci Doria, Le Sirene, il confine, l’aldilà. In: Mélanges Pierre Lévêque. Tome 4 : Religion. Besançon : Université de Franche-Comté, 1990. pp. 63-78. (Annales littéraires de l’Université de Besançon, 413)
B. Candida, Tradizione figurativa nel mito di Ulisse e le Sirene in: Studi Classici e Orientali, V.19/20 (1970-71), pp.212-253, Pisa University Press.
D. Fermi, Elena in lamento. Motivi e funzioni dell’appello alle Sirene in Eur.Hel. 164-178 in: Studi Italiani di Filologia classica, CXIII annata, IV serie, V. XVIII, fasc. I
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P. Laspia, Omero linguista, voce e voce articolata nell’enciclopedia omerica, Casa Editrice Novecento;1961, p.19 ss.
A. Mazzola, Il linguaggio delle sirene tra voce e verso: Appunti per una comparazione tematico-stilistica delle regine del mare, Ticontre. Teoria Testo Traduzione,n°17
E. Moro, Trasfigurazioni del mito, p.1, in: Annali – Università degli Studi di Suor Orsola Benincasa; 2008. Vd.
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C. Pisano, La voce della Pizia: tra mito,rito e antropologia in: Quaderni del ramo d’Oro, 2013.
J.R.T. Pollard, Muses and Sirens, in: CIRev, LXVI; 1952.
H. Schrader, Die Sirenen, nach ihrer Bedeutung und kunstlerischen Darstellung im Alterthum; 1868.
[1] 1843,1103.31 – Immagine tratta da: www.thebritishmuseum.org
[2] Ms. Ludwig XV 4, fol. 81v. Immagine tratta da: Getty’s Open Content Program
[3] L’attribuzione a Luciano di Samosata del De dea Syria resta incerta.
[4] Immagine tratta dal sito: http://www.filastrocche.it
[5] Apollod. Bibl. 3. 8 – 11
[6] Hom. Il. VI. 179 ss.
[7] Hes. Theog. 319 ss.
[8] Cf. Hes. Theog. 325; Apollod. III. 3. 2. Il caso di Pegaso è in effetti particolare, essendo figlio di Poseidone e di una Gorgone, dunque di un dio e di un mostro - “Ma quando Perseo ebbe tagliato la testa di Medusa dal suo sangue nacquero Khrysaor dal cuore coraggioso e il cavallo Pegaso, così chiamato dalle sorgenti di Oceano, dove nacque”. Hes. Theog. 280 ss. Addirittura, il celebre Arato di Soli ci racconta: “"Fu lui [Pegaso], dicono gli uomini, a far scendere dall'alto Helikon l'acqua brillante del generoso Ippocrene (…) scorreva la sorgenti della fontana ma il Cavallo la colpì e subito l'acqua zampillante fu sparsa all'esterno sotto il battito del suo piede anteriore (…) il Cavallo stesso volteggia nel cielo di Zeus” Aratus, Phaen.206 ff. Naturalmente, non è questa la sede per avviare una riflessione sulla necessità di equilibrare, in questo ibrido, l’elemento divino e quello mortale.
[9] E. Moro, Trasfigurazioni del mito, p.1, in: Annali – Università degli Studi di Suor Orsola Benincasa; 2008. Vd.
[10] Hofmann, Et. Wört. Gr.; Weicker, Roscher, Myth. Lex. IV col. 602
[11] Cf. DEMGR, s.v.
[12] H. Schrader, Die Sirenen, nach ihrer Bedeutung und kunstlerischen Darstellung im Alterthum; 1868.
[13] Hom. Od. XII, 164-194 trad. E. Romagnoli
[14] Cf. P. Laspia, Omero linguista, voce e voce articolata nell’enciclopedia omerica,Casa Editrice Novecento;1961, p.19 ss.
[15] Breglia Pulci Doria Luisa. Le Sirene, il confine, l’aldilà. In: Mélanges Pierre Lévêque. Tome 4 : Religion. Besançon : Université de Franche-Comté, 1990. pp. 63-78. (Annales littéraires de l’Université de Besançon, 413)
[16] Un appellativo che non si trova più nell’Odissea, ma ricorre nell’Iliade (IX 673) come avviene per altri elementi del discorso delle Sirene. Vd. L. Kahan, La mort à visage de femme, in : G. Gnoli – J.-P. Vernant, La mort, les morts
dans les sociétés anciennes, Cambridge-Paris 1982.
[17] V 526, XIII 590, XXIII 215- Et Od. XII 44; Argon. Orph. 1268
[18] Cf. C. Pisano, La voce della Pizia: tra mito,rito e antropologia in: Quaderni del ramo d’Oro, 2013.
[19] Pind. Pyth. 4. 60-63
[20] Chantraine, Dictionnaire étymologique, s.v.
[21] A.R. Arg. I.27.
[22] Hom. Od. XII, 39-46.
[23] Ap. Rh. IV. 890-912 trad. A. Borgogno.
[24] Si tratta, per altro, dello stesso episodio che costituisce la prima fonte iconografica della figura di Orfeo, così immortalato in una metopa del Tesoro dei Sicioni a Delfi: un cantore – identificato dalla iscrizione Orphàs – a bordo della nave Argo sta suonando la lyra.
[25] B. Candida, Tradizione figurativa nel mito di Ulisse e le Sirene in: Studi Classici e Orientali, V.19/20 (1970-71), pp.212-253, Pisa University Press.
[26] In Egitto.
[27] D. Fermi, Elena in lamento. Motivi e funzioni dell’appello alle Sirene in Eur.Hel. 164-178 in: Studi Italiani di Filologia classica, CXIII annata, IV serie, V. XVIII, fasc. I
[28] Plat. De rep. X, 617 b
[29] Lycophr. Alex. 712. Cf Apoll. Rhod. Arg. IV, 891 ss. – Apollod. Epitome, VII, 18
[30] Hom. Od.633 presenta una sola Gorgone; Euripide (Ione, 989) parla ancora di una sola ma Esiodo (Theog. 278) ne presenta tre: Stheino (Stheno o Stenusa), Euryale e Medusa . Per le Erinni: Orph. Hymn. 68; Tzetz. ad Lycoph. 406; Virg. Aen. xii. 845 (Aletto, Megera e Tisifone) –
[31] Eustath. ad Hom. p. 1709
[32] Tzetz. ad Lycoph. 712
[33] Eustath. l. c.; Strab. v. pp. 246, 252
[34] Cf. anche W. Pais, Il tempio delle sirene nella penisola sorrentina, in: Ricerche storiche e geografiche sull’Italia antica, Torino 1908, pp. 269-274.
[35] J.R.T. Pollard, Muses and Sirens, in CIRev, LXVI; 1952.
[36] Plut. Quaest. Conv. IX, 6
[37] Soph. Fr.861
[38] Impiegando il duale.
[39] Plat. Crat. 403 d.

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