“Le candele stanno a significare che grazie a quel principe ci elevammo da
una vita informe e oscura alla luce e alla conoscenza delle arti liberali”.
Macrobio[1]
Sotto il nome Saturnali si ricorda un insieme di tradizioni sacrali dedicato al dio Saturno e tradizionalmente celebrato dal mondo romano fra il 17 ed il 23 del mese di Dicembre.
Per capire il senso profondo di queste festività, è essenziale capire chi era il dio a cui erano primariamente dedicate.
L’etimo della parola “saturno” non è di facile ricostruzione, taluni hanno pensato di derivarlo dalla parola sator, secondo il significato di “contadino”; altri da sata – “piantagioni”. L’associazione originaria fra questo nume e l’agricoltura – per altro, rimarcata dall’appellativo Stercutius (concime)– non è peregrina, soprattutto se si considera come la figura di Saturno sia legata a quell’epoca di assoluto benessere da identificarsi con l’ “Età dell’Oro”.
Esisteva, in un tempo remoto, una fortunata stirpe di mortali ai quali non spettavano in sorte i dolori della fame o del freddo, della malattia, della vecchiaia e della fatica.
In virtù di tale condizione, costoro “(…) vivevano come numi (…) si rallegravano in conviti in assenza di ogni male (…) la terra fertile produceva spontaneamente frutti ricchi e copiosi. Benevoli e pacifici, abitavano nelle loro terre ricche di greggi (…)”. [2]
A segnare tutti i miti dell’Età dell’Oro è, quasi universalmente, la relazione intensamente armonica fra l’Uomo e la terra; una terra che, senza essere violentemente stravolta, offre spontaneamente e in abbondanza i propri frutti,
Per Platone, tale epoca corrispondeva ad un ciclo guidato dal potere numinoso che, a sua volta, guidava “(…) a guisa di pastori” gli esseri umani a compiere felicemente la propria esistenza: “Non c’erano animali selvatici, le creature non si divoravano l’una con l’altra, la guerra non c’era (…) godevano in abbondanza di frutta, dono di grandi alberi e vegetazione lussureggiante (…) la terra produceva ogni frutto (…) vivevano all’aria aperta in una temperata armonia di stagioni”.[3]
Più tardi, Teocrito associa all’età aurea anche il libero amore e in seguito Ennio, negli Annales, trasforma quest’età beata in un momento della lunga storia di Roma, anche attraverso la sovrapposizione fra l’ancestrale dio Cronos e, appunto, Saturno.
Si tratta di un’ottica adottata anche da Virgilio, per il quale quest’era di meraviglia e pace è, al contempo, ricordo e promessa.
Dunque, Saturno è un sacro padre dell’abbondanza; un protettore della fertilità e un fondamentale simbolo del Beneconcesso dalla terra – ovvero dell’alimentazione, che è salute e ricchezza.
Del resto, si credeva che proprio nel periodo in cui Saturno era stato signore del Lazio si fossero formate anche le prime leggi, cioè la prima forma di una vera civiltà.
Così descriveva quest’età felice lo stesso Esiodo ne Le opere e i giorni:
“Vissero sotto Crono, che era sovrano del cielo:
vivean di Numi al pari, con l’animo senza cordoglio,
senza fatica, senza dolor; né su loro incombeva
la sconsolata vecchiaia; ma forti di piedi e di mani,
scevri di tutti i mali, passavano il tempo in conviti,
(…) E ogni sorta di beni
era fra loro: la terra datrice di spelta, i suoi frutti,
da sé, facili e in copia, porgeva; e benevoli e miti,
l’opere tutte fra sé ripartivano e i beni opulenti,
ricchi com’eran (…)
son circonfusi d’aria, frequentano tutta la terra,
partiscon le ricchezze, ché n’han privilegio regale”.[4]
Per questo, Saturno è signore antico fra gli antichi e a lui spetta il ricordo dell’età originaria, nel corso della quale l’Uomo viveva al pari di un Dio, in totale armonia – come visto – con la natura ed i suoi ritmi. E se il culto di Saturno, di per sé, non godette di ampio consenso al di fuori del cuore della cultura romana, la tradizione dei Saturnali s’impresse tanto nell’immaginario collettivo da giungere sino ai nostri giorni.
Cibo e libertà; pace e abbondanza: per celebrare il dio Saturno e il ricordo dell’età aurea, si organizzavano grandi banchetti. Ai servi spettava il riposo e, addirittura, la possibilità di capovolgere, per un attimo, quelle regole sociali che si erano rese necessarie quando, appunto, l’età dell’oro aveva iniziato a vivere il suo declino.
In apertura di un pubblico banchetto, un solenne sacrificio era compiuto presso il tempio di Saturno, sotto l’augurio, altrettanto solenne, del saluto: Io, Saturnalia – ego tibi optimis Saturnalia auspico.
Presso le case, amici e conoscenti, parenti e servitori si riunivano per giocare, scherzare e bere: era persino concesso abbandonarsi a quel gioco d’azzardo che, in genere, era proibito.
Fondamentale, poi, era il momento dello scambio dei doni: la strena che, in lingua sabina, significa “salute” – antico simbolo, appunto, della corrispondente divinità della Sanitas.

Di questi usi, abbiamo una straordinaria rappresentazione nel celeberrimo mosaico di El Djem, che costituisce uno degli esempi più interessante di calendario illustrato.
Pervenutoci quasi intero, mostra le quattro stagioni e i dodici mesi dell’anno.
Questo capolavoro si compone di ventiquattro pannelli incorniciati da motivi floreali e geometrici, allineati su quattro righe di sei pannelli ciascuna.
La prima colonna offre la rappresentazione delle stagioni e le seguenti i mesi di ogni stagione: ad accompagnare l’immagine di un anziano con il cucullus che tiene in una mano una lepre e due anatre (l’Inverno) vi sono, appunto, anche i mesi di Dicembre –December – e Gennaio – Ianuarius.
Il primo mostra la celebrazione dei Saturnali; il secondo le offerte di Strena, dal cui nome, le attuali “strenne” .

Tali doni erano, in genere, modesti e accompagnati da biglietti.
Dal poeta Marziale – attivo nel I secolo – ci perviene una magnifica raccolta di brevi versi da impiegare, appunto, per accompagnare questi piccoli doni.
Ecco, ad esempio, cosa dice una cinta a chi la riceve:
“Ora sono abbastanza lunga: ma se, anche d’un peso lieve,
il tuo ventre si gonfia, sarò allora per te una cintura breve”.
Come noi confezioniamo cesti ricchi di leccornie, così nell’antica Roma era uso confezionare piccoli doni alimentari.

Ad esempio, l’anatra:
“Che l’anatra te la servano intera: ma bontà sopraffina
sono solo il petto e la testa. Il resto rimandalo al cuoco”.
Oppure, della birra:
“Un ricco potrà mandarti il vino mielato, noi solo la birra.
Se nessun ricco te lo vorrà mandare, te lo comprerai”.
E ancora, della salsiccia, che così si presenta a chi riceve il dono:
“Sono la figlia lucana di una scrofa del Piceno
sarò una corona gradita alla bianca polenta”.
Potevano costituire un omaggio anche le rape che, tuttavia, essendo regalo sacralizzato, furono – non senza ironia – nobilitate da Marziale attraverso il ricordo del primo re di Roma:
“Queste rape che ti diamo, maturate nell’invernale gelo,
sono quelle che Romolo si mangia lassù in cielo”.
Anche la cipolla dev’essere nobilitata e, soprattutto, giustificata: nulla di meglio che ricordare la sua celeberrima funzione… erotica!
“Quando la moglie è vecchia e il membro non ti si può alzare,
le cipolle afrodisiache ti possono solo saziare”.
Lo scambio dei doni fra i famigliari avveniva, usualmente, il 20 dicembre davanti all’Altare dei Lari, dopo preghiere e libagioni.
Non solo i doni e l’abbondante cibo dell’attuale festa di Natale trovano un precedente nelle celebrazioni dicembrine di Saturno ma anche il senso di uguaglianza che consentiva, per una volta almeno, la sovversione dell’ordine sociale.
Capitava persino che i servi si vestissero da padroni e che questi ultimi si occupassero di preparare cibi e tavolate.
Della particolare atmosfera di queste feste è testimone, molti secoli dopo, un dotto e saggista romano di nome Macrobio, vissuto nel V secolo.
A lui si riconduce l’opera dialogata Saturnalia, ove il nobile Sacerdote Vettio Agorio riunisce nella sua casa, il primo giorno delle feste di Saturno, alcuni illustri e dotti amici; i giorni seguenti, la compagnia continuerà a riunirsi a casa di altri nobili ospiti – il dotto Viro Nicomaco Flaviano e l’oratore Quinto Aurelio Simmaco.
La lieta cerchia s’intrattiene in erudite conversazioni su vari temi, dall’origine e senso dei Saturnali fino ai poemi omerici e a Virgilio.
Durante le feste dei Saturnali era consuetudine della nobiltà romana riunirsi in banchetti e svolgere conversazione culturali.
Il primo giorno di festa, dunque, presso la casa di in casa di Vettio Agorio si trovano il citato Aurelio Simmaco, Cecina Albino e il giovane governatore Servio: l’argomento sul quale si discute è l’ora che indica il vero inizio di una giornata; la conversazione si chiude su elementi di grammatica e di etimologia, che accompagna gli ospiti anche nel corso della mattinata successiva. Giungono anche nuovi ospiti e interlocutori e si disserta sull’origine dei Saturnali, il Dio Saturno e Giano: Pretestato sostiene che i Saturnali, in onore anche della Dea Opi, si svolgessero in origine il quattordicesimo giorno precedente alle calende di gennaio (17 dicembre); il discorso quindi vira sulla schiavitù e sulla condizione degli schiavi.
E ancora, le chiacchiere degli ospiti si concentrano sullo scorrere del tempo, sulla durata dell’anno, sul calendario e sul nome dei mesi: Marco Fulvio Nobiliore dice che il nome del mese di Maggio deriva da Majores e quello di Giugno da Juniores, in riferimento alle divisione per età degli ordinamenti di Romolo. Maggio deriva da Maia, che per Varrone è la pudica figlia di Fauno. Emergono considerazioni relative alle correzioni ed alle riforme del calendario e, nuovamente, ci si sofferma sul nome degli eventi e delle cose per sondarne l’origine. Si passa poi ad argomenti religiosi e al cammino del Sole che attraversa le case zodiacali. Nel corso della seconda giornata, in casa di Virio Nicomaco Flaviano, si discute dell’Eneide, quindi del lusso dei Romani antichi; di personaggi illustri, di ricette e frutta.
E’ ormai il terzo giorno dei festeggiamento: in casa di Quinto Aurelio Simmaco nuovamente le conversazioni si aprono con Virgilio per passare all’arte oratoria, a Cicerone e ancora ad Omero ed in particolare all’Odissea fonte dell’Eneide.
Cibo; salute; vino e digestione; reminiscenze platoniche: l’opera di Macrobio si configura come un testo preziosissimo, non solo per la sua fondamentale testimonianza su un mondo scomparso ma, anche, per il suo specifico valore di “scudo” alla sopravvivenza stessa di quel mondo, sconvolto dall’ascesa del Cristianesimo.
Dunque, dalle fonti apprendiamo che, all’inizio della lunga celebrazione, secondo l’uso greco del lectos sternere, i Romani erano soliti offrire abbondanti cibarie ai numi, chiedendo loro di proteggere la popolazione.
A questa richiesta seguiva la visita al tempio di Saturno, ove si trovava una statua velata, riempita di olio e legata con bende di lana – compendes– che, appunto, erano sciolte in occasione dei Saturnali.
Altri simboli di questi giorni, dal profondo significato religioso, erano il Mirto e l’Edera: il dono di queste piante e il loro impiego decorativo è legato all’arrivo a Roma del culto orientale di Dioniso, al quale erano care entrambe.
Del resto, che alle celebrazioni in onore di Saturno se ne affiancassero altre, dedicate ad altri numi, non era infrequente, anzi!

Ad esempio, come già visto, il 18 dicembre si festeggiava la dea Epona ed il giorno successivo Opi, signora ctonia della fertilità e dell’abbondanza.
Intorno al 20 di dicembre, soprattutto in età imperiale, prendeva il via la festa dei Sigillaria, il cui nome si riferisce alle statuette in terracotta che rappresentavano, come accennato, uno dei possibili piccoli doni da offrire agli ospiti e ai famigliari.
Proprio come avviene oggi nel periodo del Natale, anche allora Roma si riempiva di bancarelle che vendevano queste statuette o altri piccoli oggetti da offrire in dono.
Nell’area del Campo Marzio o presso le Terme di Traiano, questi temporanei, colorati e rumorosi “mercatini dei Saturnali” prendevano vita, richiamando moltissime persone.
“In occasione delle feste Sigillarie (…) si innalzavano delle impalcature di legno dinanzi alle pareti dei Saepta e vi si esponevano delle piccole capanne, veri e propri presepi, dentro le quali si collocavano le immagini degli dei Lari protettori della Famiglia, insieme con altre statuette (…) che i Romani si offrivano in dono”.[5]
“(..) i sigillaria che ha appena menzionato: la festività e le sue figurine di creta servono a divertire i bambini che non abbiano ancora imparato a camminare, ma egli cerca di renderli una questione di doveri religiosi”.[6]

A questi momenti seguivano, come già detto, abbondanti cene e feste durante le quali, per intrattenere adeguatamente ospiti e parenti, i più ricchi non badavano a spese.
L’esborso di un agiato Romano per celebrare degnamente i Ludi e le Feste poteva essere talmente alto che, già nel II secolo a.C., il politico Gaio Fannio Strabone aveva proposto una legge che imponesse di non superare la spesa di cento assi giornalieri – circa 150 Euro attuali al dì, da moltiplicarsi per i giorni di durata delle feste.
“(…) senatus consultum lex Fannia lata est, quae ludis Romanis, item ludis plebeis et Saturnalibus et aliis quibusdam diebus in singulos dies centenos aeris insumi concessit decemque aliis diebus in singulis mensibus tricenos, ceteris autem diebus omnibus denos (…)”.[7]
Poiché le feste di Saturno si spingevano fino ai giorni dell’attuale Natale, la festa del Sole ne rappresentava in qualche modo il culmine.
Ora, il mondo romano conobbe, nel corso dei secoli, due divinità solari: il cosiddetto Sol Indiges – festeggiato all’inizio di agosto e pochi giorni prima dei Saturnali – e, quindi, più tardi, il Sol Invictus. Fu infatti nel III secolo che Marco Aurelio Antonino tentò l’importazione di culti orientali solari legati ad Elagabalo, il Dio solare della Montagna ( El – dio – e gabal –montagna).
Egli stesso prese il nome di Eliogabalo e procedette alla progressiva sostituzione di Giove con El Gabal al vertice del Pantheon romano.
Questa rivoluzione teologica fu proseguita da Aureliano che, nel 272, aveva sconfitto Zenobia di Palmira dichiarando di essere stato aiutato dal Dio Sole in persona: dunque, nel 274, ne impose nuovamente il culto creando il corpus dei Pontifices Solis Invicti e, quindi, preparando il terreno per l’adozione del Cristianesimo quale religione ufficiale. Tuttavia, solo un secolo dopo, in un altro celebre calendario illustrato – il cosiddetto Chronographus anni 354 – è testimoniata, per la prima volta in modo certo, la sovrapposizione fra il Natale del 25 dicembre e appunto la festa del Sol Invictus.
Per approfondire, si suggerisce:
F. Coarelli, I templi dell’Italia antica; 1980.
G. Dumézil, La religione romana arcaica; 1966.
J. G. Frazer, Il ramo d’oro; 1911.
D. Matz, Vita quotidiana nell’antica Roma; 2002.
D. Sabbatucci, La religione di Roma antica; 1988.
[1] Saturnalia, I, 7, 32-
[2] Le opere e i giorni, 109 ss.
[3] 271b-d
[4] Hes. Er.II. 111-126
[5] G.Lugli, Il mercato di piazza Navona e l’antica festa dei Sigillari,p.113.
[6] Saturnalia 1.11.47.
[7] Notti Attiche; XIV. 3.

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