Il concetto di “mito”

La parola italiana “mito” deriva dal greco μύθος.[1]  

E’ legata al verbo μύθευω – “raccontare” –  e significa tante cose, fra queste paroladiscorso ma anche nomea; famao ancora ideaprogetto e persino intenzione[2]

In Omero, la parola compare secondo queste accezioni già nell’Odissea, impiegata in espressioni quali “μύθον ακουειν”,[3] che significa “ascoltare un discorso” oppure ancora per definire un piano d’azione.  

Più in generale potremmo dire che la parola “mito” è impiegata per indicare un discorso di tipo autorevole, cioè un discorso pronunciato da leader, condottieri, eroi, “nell’assemblea o sul campo di battaglia” .

In sostanza, col termine “mito” si indica un “un discorso di potere, e impone obbedienza per il prestigio dell’oratore”.[4]

Si tratta, insomma, di parola la cui importanza è determinata dall’autorevolezza dell’emittente – cioè di chi parla –  e che quindi dev’essere creduta in quanto chi la pronuncia è riconosciuto come degno di rispetto e fiducia.   

A questa parola se ne affianca[5] un’altra –  logos  – che, come noto, pure indica il discorso e la parola.

C’è però una significativa differenza: si tratta di una parola o un’argomentazione verificabile da parte dell’ascoltatore, che quindi risulta credibile non per l’autorevolezza di chi l’ha pronunciata bensì appunto per la verificabilità delle argomentazioni.

La credibilità del logos, insomma, a differenza di mito, si fonda sulla sua obiettiva efficacia e sul ragionamento che l’ascoltatore può fare.[6]

Di conseguenza, mentre logos indica un discorso, appunto, “logico”, il mito si riferisce a qualcosa di alogico, che per dev’essere ascoltata perché la fonte è di matrice sacrale. Così dunque il mito proviene dal mondo della religione; dei sogni; della magia; delle tradizioni mentre il logos dal mondo umano, governato dalla razionalità, dalla tecnica e dalla scienza.

Per lo sviluppo della cultura europea, la mitologia greca[7]rappresenta un punto di riferimento essenziale. 

Le narrazioni più antiche della tradizione greca furono tramandate oralmente per secoli, prima di essere fermate e testimoniate dalla scrittura o dall’iconografia.

Alcune fra queste, come noto, descrivono le origini dell’umanità, dei popoli e degli dèi; altre si fanno portatrici del senso che la memoria collettiva ha attribuito a eventi particolarmente importanti; altri nuclei narrativi cercano invece di spiegare la nascita ed il senso dei fenomeni naturali più importanti, quali il sorgere del sole o lo scatenarsi di tempeste e temporali.[8]  

Si tratta di storie, immagini, ideazioni che sgorgano da quello che potremmo chiamare l’immaginario collettivo dei popoli: a sua volta, questo è guidato dall’inconscio collettivo, che si accorge delle esigenze profonde di un popolo e cerca di dare a queste istanze vitali una forma, un significato e infine una storia.

Si tratta di un’operazione importantissima per lo sviluppo delle società, che trovano nei loro miti e nei loro riti un fondamentale collante.

Per questo, analizzare le tradizioni rituali, il folklore, le fiabe e le leggende permette di vedere un popolo per quello che è – come fosse senza veli e sovrastrutture. 

La stessa cosa può verificarsi nell’analizzare i sogni di una persona, fatti d’immagini e situazioni che non si costruiscono grazie a un ragionamento logico ma semplicemente appaiono, mostrando – talvolta in modo impietoso – i veri bisogni; le vere paure; i veri pensieri del sognatore.  

I miti, le fiabe, le leggende sono i “sogni” dei popoli.

Del resto, anche i sogni appartengono a quel vasto mondo alogico che chiamiamo “Sacro”: sogni; fiabe; riti e miti sono delle ierofanie, cioè appunto delle manifestazioni del Sacro nella realtà quotidiana.[9]

Dalle forme preistoriche fino allo sviluppo classico, le molte figure di queste manifestazioni non hanno cessato di esercitare sulla cultura mediterranea ed europea un’influenza determinante.

Alla religione appartiene la quasi totalità del mondo decorativo dell’arte greca; la stessa genesi della filosofia dipende dal relazionarsi dell’uomo con la tradizione omerica. 

Anche il  teatro greco, in origine, assume le forme di un rito entro il quale intervengono i personaggi delle narrazioni mitiche.  

Caratteristica unica del mito greco è, del resto, la polisemia: la forza dei miti si fonda, cioè,  sulla loro capacità di sostenere qualsiasi proiezione interpretativa riproducendo, in ogni occasione, un modello sistematico e internamente coerente.

Per questo, tutto ciò che proviene dal mito possiede la cifra dell’universalità.

Nella sua opera Psicopatologia della vita quotidiana (1901), Sigmund Freud[10] interpretava il mito come una proiezione delle strutture della psiche, cioè appunto come una ierofania dell’evento psichico. 

Wittgenstein considera a sua volta la psicanalisi come una potente mitologia. Il carattere mitologico (…) risiederebbe nella sua capacità di imporsi immediatamente come interpretazione universalmente valida”.[11]

Fin dalle origini, la psicoanalisi ha ampiamente attinto dal pozzo dell’antropologia  e, quindi, dal mondo del mito e del folklore.

 Lo ha fatto non solo interpretando le narrazioni come proiezione dei moti interiori ma, addirittura, impiegando le strutture portanti di queste narrazioni per avvalorare il metodo psicoanalitico.

Anche per Carl Gustav Jung[12] il mito è traccia della più antica forma di compenetrazione fra la soggettività e l’oggettività, fra l’evento e l’interpretazione dello stesso.

I miti, le fiabe e più in generale le storie del folklore –  lungi dal rappresentare fantasie sorte da un approccio immaturo fra l’uomo e la natura – sono preziosi latori di simboli motivi direttamente sorti dalla “sala macchine” della struttura umana.

Si tratta, naturalmente, di un approccio ampiamente criticabile: ad esempio, Vladimir Propp[13] ritiene che molti dei personaggi e delle situazioni che si trovano più frequentemente nei miti, nei sogni e nelle fiabe derivino dalla memoria di antichi riti di passaggio o da eventi realmente occorsi ma mitizzati per dar loro un significato funzionale.

Per esempio,  il motivo del “lungo sonno” o della “matrigna-maga”, che troviamo nel mito greco come in alcune celebri fiabe europee, sono per Propp una rappresentazione in forma narrativa di antichi riti iniziatici femminili non più operati.

Anche Robert Graves[14] ritiene che temi importantissimi e quasi universalmente presenti nelle leggende e nei riti siano da ricollegarsi ad eventi che accadevano regolarmente nelle prime società.

Un esempio tipico è quello della storia del giovane sovrano che uccide suo padre, unendosi poi alla madre.

Chiunque vi avrà riconosciuto il celeberrimo modello di Edipo, che Freud interpreta come una fase di sviluppo della struttura individuale – la cosiddetta fase edipica – mentre, per Graves, è da collegarsi alle antiche lotte fra i re per la leadership.[15]

Come visto, la citata polisemia del mito consente, in effetti, il funzionamento di ogni modello interpretativo.

Parimenti, l’analisi dello sviluppo di un mitema[16] non pregiudica l’interpretazione complessiva della funzione del mito.  


[1] Si legga: mythos.

[2] Si legga: mytheuo.

[3] Si legga: Mython akuein.

[4] Si veda, ad esempio: Od.11.561; 1.358; 4.214. Cf. M.M.Sassi, Gli inizi della filosofia: in Grecia; 2009, p.5.

[5] Seppur in modo lento e graduale.

[6] Di particolare interesse, in questo senso, un frammento del filosofo Leucippo (Fr.2) vissuto nel V secolo a.C., ove si afferma come tutto si muove secondo un principio, una legge naturale definita appunto mediante il termine “logos” – “Molte di quelle che rimarranno delle idee guida nella scienza (…) nascono nel pensiero greco (…) E’ questo il caso del determinismo meccanicista, che si può far risalire almeno a Leucippo”. L.Russo, La rivoluzione dimenticata – il pensiero scientifico greco e la scienza moderna; 1997, p. 38.

[7] E, quindi, quella romana

[8] Lo sviluppo del polimorfo e fluido tessuto religioso greco rappresenta una materia particolarmente complessa da trattare: la religione greca, quale appare oggi a noi, è infatti il risultato di una molteplicità d’influenze sia orientali che indoeuropee. La politeista religione cretese – a cui è certamente debitrice quella micenea – mostra un modello religioso particolarmente legato alla ierofania della dea madre – la potnia (signora) – una figura numinosa associata alla natura selvatica; agli animali ma anche al palazzo o alle caverne. Con l’arrivo dei Dori scompaiono taluni elementi della tradizione preesistente mentre si evidenziano le influenze dall’aree anatoliche o semitiche. Ciò è testimoniato anche da alcune evidenze linguistiche: ad esempio il termine ιερός deriva dal vedico iira, mentre il nome attribuito a una delle divinità celesti più importanti del pantheon greco di età classica – Zeus – potrebbe riferirsi all’indoeuropeo *dyằus, indicante la luce e quindi il cielo luminoso.  Cf. E. Benveniste, Le Vocabulaire des institutions indo-européennes;1969.

[9] “(…) abbiamo proposto il termine “ierofania”. È un termine appropriato, perché non implica null’altro che quello che dice; non esprime nulla di più di quanto implichi il suo significato etimologico, e cioè che qualcosa di sacro si mostra a noi” M.Eliade, Religione in Enciclopedia del novecento; 1988, p.122

[10] Sigismund Freud – Freiberg 1856 –è stato un medico e filosofo austriaco. Noto come il padre fondatore della psicoanalisi.  

[11]  Cf. J.Jurt, Psicanalisi e Mitologia. Anche consultabile in: http://c2m.free.fr/it/docu/jurt/jurt.htm.

[12] Carl Gustav Jung – Kesswill, 1875 – è stato uno psichiatra, saggista e filosofo svizzero.

[13] Vladimir Jakovlevič Propp – San Pietroburgo, 1895 –  è stato un antropologo russo.

[14] Robert Graves – Wimbledon 1895 – è stato uno storico; poeta e saggista inglese.

[15] Il complesso di Edipo  indica una fase specifica dello sviluppo del bambino, caratterizzata da desideri incestuosi. 

[16] Cf. Treccani; s.v. “mitema”. “Termine coniato dall’antropologo francese C. Lévi-Strauss per indicare ciascuno dei nuclei narrativi che si possono evidenziare all’interno della narrazione mitica (…) la struttura del mito (…) risulti dalla combinazione di più mitemi, a loro volta permutabili per dar luogo a nuove o diverse versioni”.

Lascia un commento